22 PRIMO PIANO Civiltà del Lavoro | aprile • maggio 2025 Il sistema formativo è in grado di preparare sufficienti giovani professionisti dello spazio oppure c’è carenza di competenze? La questione della formazione ha due componenti. Da un lato, c’è una carenza di competenze cross-settoriali, che invece sono indispensabili per lo sviluppo della Space economy. Dall’altro, la domanda di personale da parte dell’ecosistema nazionale è superiore alla disponibilità di personale stesso. Da ultimo, in alcuni casi c’è bisogno di upskilling, ma non è facile trovare corsi di formazione dedicati. Presso la Sda Bocconi, con lo Space economy Evolution Lab (SeeLab), che ho l’onore di dirigere, facciamo proprio questo. Ci occupiamo delle evoluzioni e dei trend della Space economy conducendo ricerche allo stato dell’arte riuscendo così poi a iniettare le competenze acquisite nel sistema formativo. Un processo che è all’inizio ma che si prospetta foriero di buoni sviluppi. Nell’economia dello spazio è cruciale la collaborazione pubblico-privato: sta funzionando nel nostro Pae- se e in Europa? Con lo sviluppo di applicazioni commerciali, la questione della collaborazione pubblico-privato assume contorni e sfaccettature variegate. In altre parole, in funzione della necessità del programma che si vuole sviluppare, occorre anche definire chi sono gli attori deputati a svilupparlo e con impegno e associato ritorno. In Europa l’impostazione è da oleare, e i suoi meccanismi da sviluppare ulteriormente. Forse è per questo che diversi tentativi, anche nel recente passato, non hanno dato i frutti sperati. Ma che ci debba essere sinergia tra strategia politica e contributo privato direi che rimane obbligatorio per uno sviluppo armonico. Si sente dire che siamo in ritardo in alcuni settori, per esempio quello delle comunicazioni satellitari dominato da Starlink di Musk e ora da Amazon di Bezos. È così? E che cosa possiamo fare per recuperare? Qui si può argomentare poco, siamo in ritardo. C’è la costellazione europea Oneweb in fase di sviluppo, ma al momento le prestazioni migliori sono quelle di Starlink, che comunque ha già oltre 6mila satelliti in orbita e SpaceX non si arresta nei lanci a ripetizione, che dovrebbero portare a oltre 40mila satelliti in orbita. Una copertura capillare, anche e soprattutto in regioni remote o colpite da conflitto o calamità, dove la prima cosa che diviene inutilizzabile è proprio la comunicazione. Recuperare il terreno perso significherebbe investire in modo massiccio, per cercare di accorciare i tempi di sviluppo, ma non credo che ci sia in Europa una tale intenzione. C’è ma su presupposti e basi più limitate sia in termini di copertura che, interconnesso, di sforzo economico profuso. Il risultato sarà ottimo, ma non ottimo a sufficienza per riempire il divario esistente. Anche perché, nel frattempo, Starlink e le altre costellazioni americane e no evolveranno, e il divario potrebbe essere destinato a persistere. Che cosa suggerirebbe a un’impresa o a una startup che volessero cimentarsi nell’economia dello spazio? Di ricordarsi che andare nello spazio, sembra facile, ma resta difficile. E che il prodotto che consente profitto richiede tempo per essere sviluppato e in questo lasso di tempo, lungo rispetto a quello a cui si è abituati in altri settori merceologici, si deve, come si dice in gergo, attraversare il deserto, il che significa prepararsi a difficoltà imprenditoriali. Ma certamente vale la pena! (P.M.) Con lo sviluppo di applicazioni commerciali, la questione della collaborazione pubblico-privato assume contorni e sfaccettature variegate. In Europa l’impostazione è da perfezionare, e i suoi meccanismi da sviluppare ulteriormente Foto gorodenkoff © 123RF.com
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