Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2023

30 FOCUS Civiltà del Lavoro | agosto • settembre • ottobre 2023 L e imprese italiane provengono da anni difficili, caratterizzati da diverse crisi: prima quella finanziaria, esplosa nel 2008, poi quella del debito sovrano iniziata nel 2010. Nel 2020 è scoppiata la pandemia, che ha paralizzato l’economia mondiale determinando la successiva strozzatura nell’approvvigionamento delle materie prime a livello globale e contribuendo a far salire i costi dell’energia. Nel 2022, quando l’emergenza sanitaria era ormai alle spalle nella sua fase più acuta, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, un conflitto nel cuore dell’Europa che ha reso più instabile lo scenario internazionale già contraddistinto dalla latente conflittualità tra gli Stati Uniti e la Cina. Infine, poco più di un mese fa, il riacutizzarsi del conflitto in Medio Oriente, che preoccupa le cancellerie internazionali per il rischio che infiammi tutta la regione. Uno dopo l’altro, dunque, il sistema delle imprese ha affrontato – e sta affrontando – diversi shock. Per capire come abbiamo parlato con Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi Confindustria. Direttore, come si presenta oggi la nostra struttura produttiva dopo crisi così diverse e shock inaspettati? Un primo dato da sottolineare è che tra il 2007 e il 2019 la base produttiva è diminuita di oltre il 23%, la riduzione più ampia registrata in Europa. Al contempo, però, a partire dal 2014 è aumentato il numero di imprese medie e grandi. Abbiamo assistito anche a un aumento dell’internazionalizzazione, cresciuta di due punti percentuali, che non si è riscontrata in nessun altro paese europeo. È migliorata la patrimonializzazione e il 2020 e il 2021 sono trascorsi meglio rispetto a quello che ci aspettavamo. In termini di equity, inoltre, le imprese italiane hanno raggiunto quelle tedesche, benché rispetto a loro restiamo più dipendenti dal credito bancario. È un tratto tipico, noi abbiamo soprattutto piccole e medie imprese, che hanno più difficoltà a emettere obbligazioni o ad avere fonti finanziarie autonome. C’è poi un altro aspetto molto importante. Quale? Abbiamo migliorato la qualità dei nostri prodotti e questo è coinciso con un aumento dei volumi esportati. Parliamo, negli ultimi quattro anni, di incrementi superiori al 13% a fronte di aumenti prossimi allo zero da parte dei nostri primi competitor, Francia e Germania. Di fatto esportiamo beni che non competono più sullo stesso mercato, per i quali l’acquirente è disposto a pagare un prezzo superiore. Grazie alla qualità, inoltre, riusciamo a “nascondere” alcune carenze in fatto di competitività che ci vedono svantaggiati rispetto ad altri paesi, come la burocrazia, l’elevato cuneo fiscale, l’alto costo del lavoro o la scarsa infrastrutturazione. Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi Confindustria Intervista ad Alessandro FONTANA di Silvia Tartamella LE IMPRESE ITALIANE fra shock e opportunità

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