Civiltà del Lavoro, n. 3/2021

23 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 Mentre si discute delle opere da realizzare per spendere i 50 miliardi che arriveranno dall’Europa, si torna a discutere del Ponte sullo Stretto aldilà della capacità degli attori, strangola i modelli at- tuativi, soffocando ogni performance economica (red- dito aggregato e sua variazione) e la distribuzione del reddito in termini di sostenibilità. Per la necessaria sem- plificazione, si fa strada l’idea di sospendere tempora- neamente il Codice degli appalti e utilizzare le direttive europee che siano direttamente applicabili. Encomiabile l’impegno del ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, Enrico Giovannini. Egli, che deve coordinare la spesa di 50 miliardi in cinque anni, sostiene che si deve accelerare ma anche snellire e rein- gegnerizzare le procedure. In questo senso si sta muovendo, partendo da una valu- tazione critica della fase di progettazione, che dipende in buona misura dalla qualità del capitale umano delle stazioni appaltanti (non ci rammaricheremo mai abba- stanza per la scomparsa del Genio Civile, operante alla vecchia maniera!), per andare all’esplosione delle lun- gaggini in fase organizzativa. “L’obiettivo, egli dice, è re- alizzare un’opera bene ed il più rapidamente possibile, nel rispetto della concorrenza. Questi sono i propositi e speriamo possano essere realizzati”. In questa realtà, a dir poco complicata, il dibattito riac- cesosi sul Ponte sullo Stretto di Messina, nell’ottica del- lo sviluppo del territorio, del Sud e del Paese, non aiu- ta a trovare conforto, se si cerca chiarezza. In effetti, negli ultimi mesi si è ricominciato a parlare del collega- mento stabile tra la Sicilia e la Calabria. La confusione regna sovrana dal momento che si sono scontrati, an- cora una volta, opposti orientamenti per la realizzazio- ne della struttura. Da una parte, una delle principali aziende al mondo nel settore delle costruzioni, la italiana Webuild che – for- te delle sue capacità realizzatrici (vedi Ponte Morandi a Genova) e valide esperienze a livello mondiale e del- la eredità del Consorzio Eurolink, dove l’impresa Sali- ni aveva una posizione importante, vincitrice della gara nel 2006 per la realizzazione del progetto, gara ‘cadu- cata’ nel 2013 con il governo Monti – sostiene di potere costruire l’opera tra i tre e i cinque anni, con una fase di preparazione di soli quattro mesi, dall’altra il governo attuale. Esso, sulla scorta di decisioni prese dalle prece- dente compagine governativa, si è affidato ad una com- missione tecnica per la valutazione dell’opera e per ri- cevere eventuali proposte alternative. Siamo di fronte ad una chiara dimostrazione di come si voglia prendere tempo, sprecando energie. In effetti, ab- biamo sul tavolo un progetto esecutivo del ponte, che già godeva di tutte le approvazioni di ordine tecnico e burocratico, nonché di una legge autorizzativa a piena tenuta, così almeno appariva, tant’è che si era addirit- tura incominciata la costruzione del raccordo di salita, per superare il dislivello tra la zona Cannitello e l’imboc- catura del Ponte. La commissione sembra manifestare simpatia verso una soluzione a tre campate, rispetto a quella sospesa, di una sola campata, di km 3,3, affermando che ‘‘il sistema con ponte a più campate consentirebbe di localizzare il collegamento in posizione più prossima ai centri abitati di Reggio Calabria e Messina, con conseguente minore estensione dei raccordi multimodali, un minore impatto visivo, una minore sensibilità degli effetti del vento, co- sti presumibilmente inferiori e maggiore distanza dalle aree naturalistiche pregiate’’. È una valutazione opinabile, sia per quanto riguarda la possibilità di collocare l’opera più prossima ai centri di Reggio e Messina, considerando le distanze, sia per l’im- patto visivo (tre campate sono ben più ‘invasive’ di una unica), sia per l’incidenza del vento (lo Stretto è un im- Foto levkr © 123RF.com PRIMO PIANO

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