Civiltà del Lavoro, n. 3/2021

113 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2021 VITA ASSOCIATIVA ianni Letta ha parlato del passato e di come non ci siano dubbi sul fat- to che Roma sia legittimamente la Capitale d’Italia. Io, invece vorrei parlarvi del futuro, soprattutto con riferimento alle prossime elezioni per il sindaco di Roma. Come avete visto pochi si rendono disponibili a candi- darsi, perché fare il sindaco di Roma è un compito mol- to impegnativo. Essendo noi tutti uomini d’azienda sap- piamo che per guidare una organizzazione complessa ci vogliono alcune qualità. Tra queste, la più importante è quella di avere una visione, un progetto per il futuro nel quale credere e al quale ispirare i comportamenti pro- pri e di tutti i collaboratori. Il compito del sindaco non è molto diverso da quello di un imprenditore: deve avere una visione e costruire attorno ad essa il consenso di tut- ti i cittadini. E su questo consenso farsi eleggere. Ovvia- mente un bravo sindaco deve avere anche capacità am- ministrative. Tutte qualità non molto diverse da quelle richieste a un bravo leader aziendale. Il tema, che credo sintetizzi meglio il dibattito odierno sulle elezioni, è a quale visione debba ispirarsi il futuro sindaco di Roma: quale visione della città e del suo fu- turo debba proporre ai suoi cittadini. Roma da questo punto di vista ha una storia abbastanza particolare. Nel- la Roma del dopoguerra, la prima visione su che cosa la città dovesse essere non l’ha avuta un sindaco, ma un Ambasciatore: quello degli Stati Uniti d’America. Clara Luce, quando nel 1953 venne nominata da Eisenhower ambasciatrice in Italia, non fece i salti di gioia. Essendo grande finanziatrice del partito repubblicano si aspet- tava di essere destinata ad una sede prestigiosa (che per gli americani erano Parigi o Londra). A Roma ave- va invece trovato una città distrutta, con mille prob- lemi e con tante persone ancora sistemate in baracche fatiscenti, una situazione lontanissima dalle luci e dagli stimoli di New York. Invece di protestare per il declassamento, l’ambascia- trice si inventò una narrazione di Roma brillante e pie- na di glamour da diffondere sulle copertine del Time e di Fortune, le riviste di cui il marito era editore. L’am- basciatrice convocò a Roma i suoi amici attori e intellet- tuali, utilizzando il Time Magazine per promuovere l’im- magine della città. Roma, a livello internazionale, negli anni Cinquanta era dunque la città che Clara Luce vole- va rappresentare. Nei decenni successivi Roma non ebbe bisogno di una visione o di un progetto guida particolar- mente sofisticato. La ricostruzione prima, e l’espansione della città poi, assorbivano tutte le energie. E la concen- trazione su Roma del potere politico con le sue appendici industriali e finanziarie, creavano ricchezza e prestigio. La città fino al ‘93 era al centro del potere politico, ma anche di quello economico: le partecipazioni statali era- no infatti insediate in città ed anche il sistema bancar- io aveva importanti ramificazioni a Roma. La città era al centro di un tessuto di relazioni e di potere formidabili al quale cercava di contrapporsi, spesso con meno suc- cesso, Milano. Con il ‘93 cambiò tutto. Le privatizzazio- ni svuotarono il sistema delle partecipazioni statali e la trasformazione del sistema bancario allontanò la città Capitale in cerca di una VISIONE di Franco BERNABÈ G Franco Bernabè Foto Kraft74 © Shutterstock

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