Civiltà del Lavoro, n. 3/2020

55 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2020 FOCUS rando in deroga rispetto al Codice vigente – non rappre- senta un favore fatto alle imprese, ma una necessità del Pa- ese, se si vuole evitare lo spettro di una grave recessione. Spero dunque che la nuova disciplina sugli appalti pubblici possa andare in porto. Anche se ho qualche dubbio su al- cuni aspetti. Per esempio, la trattativa ristretta con almeno cinque imprese per i lavori sotto la soglia Ue. Come è sta- to fatto notare, ciò rischia di escludere molte imprese dal- le procedure e di non garantire la necessaria trasparenza. Ma sono aspetti che possono essere migliorati o cambiati. L’importante è mantenere la filosofia di fondo: l’economia non può essere ostaggio di una burocrazia lenta e farragi- nosa. Peraltro, velocizzare le autorizzazioni e le gare d’ap- palto non significa abbassare il controllo di legalità, come qualcuno teme: con norme chiare e semplici si possono garantire entrambe le cose. Si cerca di ridurre i tempi anche della Via, la Valutazione d’impatto ambientale. Qual è la sua esperienza in merito? La Via è il classico esempio di come un procedimento am- ministrativo nato con le migliori intenzioni – realizzare un’o- pera garantendo il massimo dell’informazione e della par- tecipazione sul territorio – si risolva spesso in una mancata assunzione di responsabilità da parte della burocrazia pub- blica e in un sistema di veti incrociati – tra amministrazioni locali, associazioni ed enti vari – che ha come unico risultato quello di bloccare gli investimenti o di ritardare oltre ogni limite ragionevole la realizzazione dei valori. Spero, dunque, che si intervenga anche su questo aspetto. Nel rapporto con la burocrazia fra gli aspetti più criti- cati dagli imprenditori vi è la cosiddetta “fuga dalla fir- ma” dei funzionari pubblici. Ritiene che le modifiche al- lo studio potranno migliorare la situazione? Anche su questo mi pare si stia cercando di innovare. Mi riferisco all’articolo 2 del decreto Semplificazioni, secon- do il quale l’aggiudicazione definitiva di un appalto, ovvero l’individuazione del contraente di quest’ultimo, deve avve- nire obbligatoriamente entro sei mesi dall’avvio del proce- dimento, altrimenti scatta la responsabilità diretta del fun- zionario pubblico che se ne occupa. Non si tratta di adottare un atteggiamento punitivo, quel- lo che serve è invece stabilire un principio di responsabi- lità dal punto di vista dell’amministrazione pubblica e ga- rantire tempi certi di decisione e realizzazione alle imprese. Peraltro, questo è un problema che non riguarda solo le grandi opere infrastrutturali, per le quali si sta ragionando di attivare procedure negoziali senza bando o di ricorrere ai commissariamenti. Riguarda anche gli investimenti pubblici delle amministrazioni locali, che sono fondamentali per la vita delle piccole imprese, quelle che danno lavoro sul ter- ritorio. Un funzionario che ritarda una pratica o un’autoriz- zazione, anche solo per la manutenzione di una strada, crea un danno oggettivo alla vita economica delle comunità. A questo proposito vorrei ricordare come in Italia non c’è solo il problema del blocco nelle opere pubbliche, ma an- che quello della mancata manutenzione di strade, ponti, edifici, scuole: per le imprese è un problema economico, ma per la vita dei cittadini ciò rappresenta un rischio. Sen- za contare l’annosa questione, che ancora non si riesce a risolvere, dei tardivi pagamenti alle imprese da parte della Pubblica amministrazione. Come conciliare la necessità di far ripartire gli investi- menti sulle opere pubbliche con l’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità in un Paese che spesso si è contrad- distinto per opere incompiute, sperpero di denaro pub- blico e scempio ambientale? In materia ambientale esistono nel nostro Paese vincoli nor- mativi assai stringenti, che nessuna impresa peraltro ha in- teresse ad aggirare. L’attenzione per la sostenibilità è ormai pienamente entrata nella nostra cultura d’impresa. Il pro- blema, più che il danno ambientale causato da opere sba- gliate, è un altro: quello di realizzare lavori che si rivelano inutili non perché lo siano in sé, ma perché, tra ritardi nelle autorizzazioni, nell’indizione delle gare d’appalto e nei pa- gamenti alle imprese da parte dei committenti pubblici, e magari a causa dei ricorsi amministrativi in corso d’esecu- zione che in Italia non mancano mai, essi vengono terminati con venti o trenta anni di ritardo rispetto alla progettazio- ne iniziale. Il mondo cambia con velocità impressionante, cambiano le esigenze e i contesti, e noi – agendo con len- tezza – rischiamo di realizzare opere che alla fine non ser- vono più. Questo sì che è uno spreco di ricchezza e un dan- no oggettivo anche per l’ambiente. S.T. L’intervista è stata rilasciata il 3 luglio 2020 Pro lo CARLO COLAIACOVO è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 1997 per aver contribuito allo sviluppo dell’azienda di famiglia portandola ad una dimensione internazionale. È animatore e protagonista della costante crescita di Colacem, oggi tra i leader per la produzione italiana di cemento, così come della costituzione di Colabeton, azienda di produzione e distribuzione di calcestruzzo

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