Civiltà del Lavoro, n. 2/2020

22 Civiltà del Lavoro aprile • maggio 2020 PRIMO PIANO a crisi mette sul banco degli imputati la globalizzazione per come fino ad oggi l’abbiamo praticata. Senza una risposta basata sull’etica pubblica e sulla sosteni- bilità, potrebbero tornare in auge movi- menti reazionari e autarchici. Il rischio è un ulteriore impo- verimento economico e culturale. Che ne sarà del nostro futuro? Come si dovrà regolare l’u- scita dalla pandemia? Quali sono i rischi che corriamo? Do- mande come queste sono ricorrenti sui media e nei nostri pensieri. Per il momento la scienza e la tecnica non posso- no dirci come risolvere la questione. Ma davvero – finché non troveremo una soluzione nei laboratori – dobbiamo pensare che le riposte alla pandemia da coronavirus sia- no identiche alle misure che si potevano prendere contro la peste nel Medioevo? Intendo, qualcosa del tipo limitar- si a dire “restiamo tutti a casa”. Posto che, ora come ora, nessuno conosce i tempi effettivi di un progressivo ritor- no alla normalità, ci dovrebbe pure essere una visione po- litica ed economica del dopo, sia pure per tappe e per ten- tativi ed errori. Una visione del genere pare quantomai necessaria perché la crisi economico-sociale legata alla pandemia da corona- virus non è una crisi come le numerose altre, cui abbiamo assistito dopo la seconda guerra mondiale. E potrebbe vo- ler significare – come ha scritto Branko Milanovic (https:// www.foreignaffairs.com/articles/2020-03-19/real-pandemic- danger-social-collapse) – un cambiamento radicale nell’e- conomia globale. È anche abbastanza evidente che non sono sufficienti per affrontare una crisi del genere gli usuali rimedi macro-eco- nomici. La crisi prende infatti contemporaneamente do- manda e offerta. E per ragioni molto semplici, in fondo. Dal punto di vista dell’offerta, la chiusura di molte imprese pro- duttive spiega il calo. I lavoratori stanno a casa, e non tutti possono lavorare a distanza. Per cui, di necessità l’offerta cala. Inoltre, assistiamo a un’interruzione delle catene pro- duttive internazionali. Molti prodotti industriali oggi sono il risultato di parti che arrivano da varie regioni del mon- do., dell’Asia in primis. E quando un paese chiude – l’esem- pio della Cina è sintomatico – tutte le imprese a valle non possono lavorare perché gli mancano parti indispensabili per arrivare al prodotto finale. Dal punto di vista della domanda, poi, è chiaro che “restia- mo a casa” è un rimedio utile dal punto di vista immuno- logico, ma che fa scendere drammaticamente la domanda. La drastica riduzione della mobilità, la chiusura dei negozi, la significativa discesa dei redditi infatti generano inevita- bilmente riduzione sistematica dei consumi. A fronte di tutto ciò, il rischio di una regressione planetaria è forte. È possibile, come sostiene sempre Milanovic nell’ar- ticolo citato, che la crisi in questione porti a un ritorno a economie più primitive, localistiche, non specializzate e le- gate alla natura. In altre parole, a fronte di interruzioni di Costruire il dopo PANDEMIA di Sebastiano MAFFETTONE, professore ordinario di filosofia politica presso la Luiss Guido Carli di Roma Sebastiano Maffettone L

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