Civiltà del Lavoro, n. 1/2019

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2019 LA GRANDE PARALISI LE ELEZIONI europee del 26 maggio hanno lo stes- so effetto che un pitone ha sulle sue vittime: le paralizza, prima di divorarle. Così, in attesa del responso elettorale, in Italia tutto sembra paralizzato: congelata la Tav Torino- Lione, di cui una mozione parlamentare votata dalla mag- gioranza chiede la “ridiscussione”, col rischio di cominciare a perdere i fondi europei; bloccato il processo controver- so di autonomie regionali, su cui il premier Conte preve- de lunghe trattative e il coinvolgimento del Parlamento; congelata la nomina del vicedirettore generale di Banca d’Italia dopo che il Governo ha bocciato la proposta di ri- conferma di Federico Signorini avanzata dal governato- re Ignazio Visco; commissariato l’Inps con Tridico dopo la scadenza del mandato di Boeri; persi nelle nebbie buro- cratiche provvedimenti su cui il Governo aveva puntato molto per rimettere in moto il Paese, come la task force di 300 ingegneri che si dovrebbe insediare a Palazzo Chigi per rimettere in moto gli investimenti in opere pubbliche. Dopo le elezioni regionali in Abruzzo e in Sardegna che hanno segnato l’avanzata della Lega e il crollo del M5S, le europee hanno assunto il ruolo di una sorta di “giudi- zio di Dio” sugli equilibri politici. Se nell’attuale Parlamento il M5S conta quasi il doppio della Lega (33% contro 17%), nei sondaggi e nelle urne abruzzesi e sarde, ormai la Lega sopravanza largamente il M5S e il 26 maggio potrebbe arrivare vicino a doppiar- lo. E questo terremoterebbe il Governo Conte con esiti og- gi imprevedibili: un profondo rimpasto? Una crisi che po- trebbe portare a elezioni in autunno? Un complicatissimo “governo di tregua” (ma chi lo voterebbe in Parlamento?) che dovrebbe sobbarcarsi l’onere di varare una legge fi- nanziaria 2020 a dir poco proibitiva. Già, perché nel frat- tempo l’economia peggiora di giorno in giorno, non solo in Italia, ma da noi più che altrove. Siamo tornati ufficialmente in recessione (anche se per consolarci la definiamo “tecnica”), la produzione industria- le sta rallentando pericolosamente anche per la frenata dell’export dovuta al conflitto commerciale tra Usa e Ci- na e alle minacce di Trump anche verso l’Europa (il presi- dente è giunto a definire le esportazioni di auto europee, soprattutto tedesche verso gli Stati Uniti, come “minacce alla sicurezza nazionale”). La domanda interna resta sta- gnante, gli investimenti pubblici sono al palo (Tav docet), il reddito di cittadinanza e quota 100 non sembrano in grado di far aumentare sensibilmente i consumi nei pros- simi mesi e il Governo rispolvera, su Alitalia, sulle banche e sulle tlc, atteggiamenti neostatalisti. Sarebbe necessa- rio agire subito per cercare di combattere la recessione, ma i partiti di Governo vedono solo le urne di maggio e sono in perenne campagna elettorale. Così restano in fri- gorifero iniziative che potrebbero favorire l’economia, co- me le semplificazioni burocratiche, l’avvio di investimen- ti pubblici nazionali e locali, un più deciso sostegno agli investimenti privati. La segreta speranza del Governo è che dalle elezioni di maggio esca un nuovo Parlamento europeo più spostato verso le forze populiste e sovraniste, che potrebbe modi- ficare la politica europea verso un atteggiamento più fa- vorevole alla spesa pubblica, anche in deficit. Le previsioni e i sondaggi sembrano andare invece in senso contrario: è vero che l’attuale coalizione formata da popolari e so- cialisti perderà molti seggi e probabilmente non sarà più maggioranza, ma unita ai partiti europeisti liberali e ver- di (soprattutto i verdi moderati tedeschi) potrebbe man- tenere il controllo dell’Europarlamento, mentre i partiti sovranisti (a cominciare dalla Lega) che guadagneranno voti e seggi, non riuscirebbero a condizionare più di tan- to gli europeisti. In Europa stanno piuttosto riemergendo le preoccupazio- ni per la sostenibilità del nostro debito pubblico, mentre a causa del rallentamento del pil già quest’anno il deficit potrebbe crescere dal 2,04% al 2,5%, mentre l’anno pros- simo potrebbe addirittura sfondare il 3%. Con questi numeri, l’impegno assunto dal Governo di ri- durre, sia pure di pochissimo, il debito pubblico finirà in nulla, anche perché era basato su una previsione di ben 18 miliardi di privatizzazioni di cui si sono perse le trac- ce. Dunque anche il debito rischia di risalire, mentre sul- la prossima legge finanziaria pende come una spada di Damocle la clausola di salvaguardia da ben 23 miliardi di aumento dell’Iva, che sarà molto difficile disinnescare. L’unica speranza è che le nubi che gravano sull’economia mondiale si diradino, che Usa e Cina trovino un accordo commerciale soddisfacente per tutti e che le nostre im- prese, che in questi anni si sono rafforzare in Italia e all’e- stero, riescano a reagire alla crisi e difendano le quote di mercato all’estero. Ovviamente, senza tacere la speranza della soluzione dei mali endemici dell’economia del nostro Paese: lo stato di salute della finanza pubblica e il declino di investimen- ti e produttività. Sono queste le speranze che ci restano. Affinché il Paese esca dalla paralisi. • EDITORIALE 9

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