Civiltà del Lavoro, n. 6/2018

INCHIESTA CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2018 35 quello dal confine russo-finlandese al Mediterraneo, quel- lo tra i porti olandesi del mare del Nord e Genova e quel- lo dai porti del sud della Spagna all’Ungheria e al confi- ne con l’Ucraina. Oltre alla Torino Lione e a quella del terzo Valico, la linea più importante cui si sta lavorando è quella che collega Napoli a Bari attraverso il potenziamento della linea esi- stente raddoppiando i binari e rendendoli adatti a treni più veloci. Dei 150 chilometri della linea, 40 permetteranno una velocità massima di 250 chilometri orari, mentre sul resto del tracciato si andrà al massimo a 200 chilometri all’ora. Si prevede la fine dei lavori per il 2026: una vol- ta realizzata la linea sarà possibile raggiungere Bari da Napoli in due ore, invece che nelle circa quattro attuali. Sempre al Sud si sta lavorando sulla linea che collega Pa- lermo, Catania e Messina, a sua volta da potenziare. Parte della linea tra Messina e Catania ha già le caratteristiche giuste, altre parti devono ancora essere sistemate: la fi- ne dei lavori è prevista anche in questo caso per il 2026. Obiettivo: spostarsi da Catania a Palermo in meno di due ore. Su tutte queste opere l’incertezza potrebbe costare cara, per dare una cifra 2 miliardi di euro solo nel 2019. Si tratta di soldi relativi non a procedure di appalto, ban- di di gara, progettazioni da completare, autorizzazioni in corso. Il calcolo – che tiene conto di dati di Rfi (Fs), Telt e Cociv – considera la spesa effettiva di cassa prevista per il prossimo anno sulle sei opere ferroviarie più importanti: la Tav Torino-Lione, il terzo Valico Genova-Milano, il tun- nel del Brennero, l’Alta velocità Brescia-Verona, la Vero- na-Vicenza e la Napoli-Bari. Al di là di valutazione solo economiche, il tentennamento sull’opzione alta velocità ferroviaria lascia perplessi anche dal punto di vista delle valutazioni ambientali. Basti dire che in Italia la quota di mercato dei camion nel trasporto merci è di circa l’80%, a fronte di una media europea del 73%. Se confrontiamo il Paese con il leader del trasporto merci su ferro, la Svizzera, il differenziale sale fino a 18 punti percentuali, dato che il 62 % delle merci nel paese elvetico viaggia su gomma. LA TEMPESTA PERFETTA? Come se non bastasse, la retorica del no e la pratica del “nì” si stanno innestando in un ciclo finanziario abbastan- za delicato per le grandi società di costruzione italiane. Da recenti stime del Sole 24 Ore sono a rischio cantieri in corso o in fase di avvio per un valore di circa 10 miliardi di euro. Si tratta del “valore residuo” delle commesse, cioè la parte ancora da realizzare, facente capo direttamente alle imprese in crisi e si riferisce alle quattro grandi im- prese in procedura concorsuale (Astaldi, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, Tecnis) a cui si è di recente aggiunta Cmc Ravenna. La somma dei cantieri in Italia di questi cinque big vale 9,4 miliardi di euro. A cui si aggiungono i dieci contratti rescissi dall’Anas negli ultimi due anni per crisi aziendale, per circa 600 milioni. La crisi dei grandi costrut- tori segue quella delle pmi dell'edilizia (120mila impre- se uscite dal mercato) e va da sé che non riguarda solo il futuro delle società coinvolte, di fornitori, creditori e la- voratori, riguarda l’Italia. IL PDOP, PARTITO DELLE OPERE PUBBLICHE A lungo silente, o apparentemente tale, sta intanto facen- do sentire la sua voce anche chi guarda alle grandi opere senza pregiudiziali. Ispirato dal successo della manifesta- zione delle “Madamin” del 10 novembre, Pierluigi Batti- sta sul Corriere della Sera il 18 novembre battezza que- sto rinnovato movimento civico e di opinione il “Pdop”, il partito delle Opere Pubbliche. “Ora che si parla tanto delle opere pubbliche, sarebbe bello se nascesse trasversalmente il Pdop, un partito del- le opere pubbliche. Non (solo) le Grandi Opere Faraoni- che, i Grandi Eventi Olimpici, le Grandi Occasioni Celebra- tive che vedranno la luce quando i nostri nipoti avranno i loro nipoti, ma un impegnativo New Deal di opere utili adesso, che portino progresso, civiltà, tutela e lavoro da finanziare con cospicui fondi pubblici (in deficit? Sì, anche in deficit), con un tacito patto di unità nazionale lungo tut- to il nostro territorio”. Iscritti d’ufficio al Pdop, gli imprenditori, i commercianti, gli industriali. Come quelli riuniti a Genova per l’Assemblea pubblica di Confindustria lo scorso 28 novembre e poi a Torino il 3 dicembre per difendere, insieme ai presidenti di Liguria e Piemonte Toti e Chiamparino, le opere stra- tegiche e le ragioni dello sviluppo. “Se avessimo le infra- strutture della Germania — ha spiegato Carlo Bonomi, il numero uno di Assolombarda in occasione dell’incontro genovese — il nostro export potrebbe crescere anche del 70% e la bolletta della logistica per le nostre aziende sa- rebbe più leggera di 3 miliardi”. Perché non provarci? Nel paesaggio infrastrutturale di un Paese, ma nella vita in generale, nicchiare, aspettare, scegliere di non scegliere, non significa stare fermi ma arretrare. • Cristian Fuschetto

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