Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 “PRIGIONIERI” DEL CONTRATTO DI GOVERNO PIÙ che la “deviazione senza precedenti” dal percorso di riduzione del deficit denunciata dalla Commissione Ue, ciò che allarma nell’atteggiamento del governo giallover- de è l’ insensibilità alle ragioni dell’Europa, delle istituzio- ni economiche interne e internazionali, delle agenzie di rating, che hanno già cominciato a ridurre la valutazione dei nostri conti pubblici anche se mantengono un giudi- zio non negativo sulla solidità della nostra economia re- ale. È un dialogo tra sordi, al di là delle rituali “volontà di dialogo” enunciate a ogni piè sospinto dal premier Con- te. La Commissione afferma che il deficit È triplicato (dal- lo 0,8% concordato col governo Gentiloni al 2,4% di oggi) e andrebbe ridotto, ma il governo Conte contesta questo dato, dice che l’aumento rispetto al deficit reale (pari al 2%, contando anche l’abolizione dell’ aumento IVA) è so- lo dello 0,4% e fa circolare una tabella in cui si legge che negli ultimi anni i deficit arrivarono anche in prossimità del 3%. Ma omette di dire che in alcuni di quegli anni il Pil era negativo, che si trattava di deficit a consuntivo e che comunque sinora il deficit era stato di anno in an- no in discesa verso l’obbiettivo del pareggio di bilancio. Il 2,4 di oggi si realizza invece con Pil positivo, interrom- pe il percorso di discesa verso il pareggio ed è un dato di previsione, che a consuntivo potrebbe essere parecchio più alto, mettendo a rischio l’obbiettivo più importante, cioè il calo graduale ma costante del rapporto debito-Pil. L’altro dato contestato è infatti il Pil 2019, che il governo stima all’1,5% mentre tutti i previsori oscillano tra 0,8 e 1%. È chiaro che se il Pil 2019 fosse più basso dell’1,5%, il deficit sarebbe più alto del 2,4% previsto. Pare che il mi- nistro Tria e anche il premier Conte sarebbero disponibili a ridurre il deficit dal 2,4 al 2,1-2,2 per mantenere aperto il dialogo con la Commissione, evitare nei prossimi mesi una procedura d’infrazione ormai assai probabile e cer- care di placare i mercati e lo spread, ma sinora Di Maio e Salvini non hanno voluto accettare questa mediazione. L’altro equivoco riguarda la indubbia solidità di economia reale, produzione industriale, export, situazione patrimo- niale delle famiglie. Il governo usa questo argomento per rispondere alle critiche alla sua manovra. Ma è un argo- mento del tutto improprio, ed anche controproducente. La solidità dell’economia reale avrebbe dovuto infatti sugge- rire una manovra senza deficit eccessivo, che facendo sa- lire spread e tassi d’interesse finisce per indebolire proprio l’economia reale, mettere in difficoltà’ le banche, ridur- re il credito per le imprese e gli investimenti ed erodere i risparmi delle famiglie: dall’ insediamento del governo, la Borsa ha perso circa 170 miliardi di capitalizzazione e l’aumento dei tassi d’interesse ha ridotto di decine di mi- liardi il valore capitale dei titoli di stato, sicchè oggi le fa- miglie – e le imprese – che detengono azioni e Btp so- no più povere. Al di là del giudizio di merito sui singoli provvedimenti del governo, il problema è che essi vengono finanziati in deficit. E la causa è che il contratto di governo tra M5S e Lega ha irrigidito la politica economica e non offre alter- native. Il M5S, per introdurre il reddito di cittadinanza, sa- rebbe stato probabilmente disponibile ad aumentare le tasse ai benestanti, ma non può farlo perchè la Lega si oppone. Al contrario la Lega, per ridurre le tasse sareb- be stata probabilmente disponibile a tagliare il welfare, ma non può farlo perchè il M5S non vuole. Così, prigio- nieri nella gabbia del contratto di governo, i due conso- ci di maggioranza sono costretti a far aumentare il defi- cit e a scommettere su un’improbabile aumento del Pil. E così facendo mettono a rischio il Paese. Resta da com- prendere che cosa può fare la parte d’Italia - e in primo luogo le imprese - che non vuole rischiare lo sfascio dei conti pubblici, vuole restare agganciata all’Europa e vuo- le che l’Italia resti una società aperta, senza involuzioni e chiusure sovraniste. Occorre contrastare la “narrazione” populista e ricordare a tutti che le conquiste economiche e sociali raggiunte dagli italiani non sono garantite, ma vanno difese senza scorciatoie assistenziali, continuando a puntare sul vero lavoro, sui veri investimenti, sulla ve- ra crescita. • EDITORIALE 9

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