Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2018 50 DOSSIER C’È STATO un tempo, fra i primi anni Settanta e la metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui non po- che imprese alimentari italiane hanno cambiato proprietà e bandiera, in certi casi degradate a subsidiaries di multi- nazionali americane, svizzere, francesi, tedesche, in altri sopravvivendo solo come marche nel ventaglio di brand che facevano da corona ai grandi nomi dell’industria mon- diale del food. Passarono di mano imprese e marchi prestigiosi come Al- gida, Riso Flora, Bertolli, Santa Rosa (acquisite da Unile- ver), Motta, Alemagna, Buitoni, Perugina, Sanpellegrino, Vismara, Sasso, Condiriso (da Nestlé), Barilla (da Grace, prima di tornare dopo qualche anno alla famiglia fonda- trice), Galbani, Saiwa, Agnesi, Sangemini-Ferrarelle (da Danone), Simmenthal, Negroni, Fini, Latterie Osella, In- vernizzi (da Kraft), Splendid (da Procter & Gamble), Sper- lari e Scaldasole (da Heinz), Caffarel (da Lindt & Sprüngli), Martini&Rossi (da Bacardi), Cinzano e Vecchia Romagna (da Grand Metropolitan). All’epoca, molti analisti paventarono un’irrimediabile ero- sione del patrimonio industriale italiano. In realtà, la base produttiva ha resistito, molti marchi sono stati rilanciati e rafforzati, e la presenza del capitale straniero in Italia ha senza dubbio accelerato il processo di maturazione di un settore che, nella stagione delle grandi acquisizioni, era frammentato, fortemente proiettato sul mercato inter- no, ancorato a modelli di governance familiare non sem- pre in grado di affrontare la competizione internazionale. Se è legittimo il rimpianto per le “perle” perdute che hanno varcato i confini nazionali – senza dimenticare che molte delle marche prima citate sono tornate in mani italiane – occorre ricordare che il confronto con grandi imprese do- tate di strutture organizzative e strumenti manageriali assai più evoluti ha non poco giovato al salto culturale di piccole e medie aziende che allora navigavano a vista in mari prossimi a diventare sempre più agitati. A distanza di un quarto di secolo dallo shopping frenetico di quegli anni, l’industria alimentare italiana appare co- me uno dei segmenti più brillanti dell’economia italiana; è stato il settore a maggior resilienza negli anni della cri- LA “GRANDE BELLEZZA” ITALIANA CHE IL MONDO DESIDERA Un’analisi dell’industria agroalimentare

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