Civiltà del Lavoro, n. 3/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO III- 2018 DIGNITÀ, MIGRANTI E PROMESSE LE PRIME settimane del governo giallo-verde (o gial- lo-blu, secondo il nuovo cromatismo della Lega non più lombarda) hanno confermato le attese di un avvio di le- gislatura agitato, confuso e contraddittorio, in cui si intrec- ciano tensioni e pulsioni diverse, in attesa della vera resa dei conti che arriverà con la Legge di Bilancio d’autunno. Il ministro dell’Interno e leader della Lega Matteo Salvini ha conquistato subito la scena perché è intervenuto con energia sul tema caldissimo dei migranti minacciando la chiusura dei porti alle navi delle Ong e per ora gli è an- data bene, perché la prima nave è stata accolta a Valen- cia grazie al nuovo governo socialista spagnolo e poi una serie di migranti attraccati nei nostri porti sono stati ac- cettati da altri Paesi europei. Così, ha argomentato il premier Conte, abbiamo affermato il principio che chi sbarca in Italia sbarca in Europa. Vero. Ma è altrettanto vero che sinora le redistribuzioni negli altri paesi avvengono su base esclusivamente volontaria e che gli alleati sovranisti di Salvini (Austria, Ungheria, Repubblica Ceca) non ne hanno accolto neppure uno. Per questo il governo ha aperto un nuovo fronte e chiede di poter riportare in Libia i migranti soccorsi in mare, anche se ciò è impedito dalla Corte europea di Strasburgo, che giudica “non sicuri” i porti libici. Nel frattempo, le organizzazioni Onu segnalano che nei mesi scorsi ci sarebbero stati oltre 700 morti nel Mediter- raneo, il che è del tutto plausibile: se la Guardia costiera libica è carente (tanto è vero che le daremo altre 12 mo- tovedette), se le navi Ong sono combattute, se le nostre navi arretrano verso le nostre acque territoriali, si apre un enorme spazio per naufragi e annegamenti. L’altro vicepremier Luigi Di Maio ha accelerato la presenta- zione del cosiddetto Decreto Dignità che, per combattere la cosiddetta precarietà, ha lo scopo principale di stringe- re i freni sui contratti a tempo determinato (riducendoli da 36 a 24 mesi, da cinque a quattro riconferme e rein- troducendo le causali dal primo rinnovo). Contemporane- amente, ha anche aumentato i costi dei licenziamenti per i lavori a tempo indeterminato. L’effetto congiunto delle due misure, in sé contradditto- rie, sarà quello di scoraggiare le assunzioni sia determi- nate sia indeterminate e di spingere le imprese a utilizza- re di più gli straordinari, cioè a far lavorare di più chi già lavora. Eppure questi effetti economici scontati, che so- no stati inseriti nella stessa relazione tecnica del Decreto Dignità con la famosa tabella Inps che stima 8mila man- cati rinnovi di contratti l’anno per dieci anni, ha scatena- to il putiferio nel Governo e tra i grillini, con il presidente dell’Inps Boeri sul banco degli imputati. È solo un pallido esempio del fatto che la coalizione di governo vuole alcune cose, tipo la lotta alla precarietà, ma trascura le logiche conseguenze, in questo caso la ri- duzione di occupazione, e si rifugia nella “teoria del com- plotto” attaccando persino i dati e le stime economiche. Temiamo che questo comportamento raggiungerà l’ac- me in autunno con la Legge di Bilancio, su cui incombo- no flat tax, reddito di cittadinanza e superamento della legge Fornero, promesse in sé inconciliabili, alle quali pe- rò nessuno vuole rinunciare. Il ministro dell’Economia Tria, che con la sponda occhiuta del Quirinale vigila sulla tenuta dei conti pubblici, ha già messo le mani avanti. Ha detto che aumentare il deficit è impossibile perché ci porterebbe rapidamente al default, soprattutto in questa fase di crescita calante, guerre com- merciali incombenti e prossimo venir meno degli acqui- sti di titoli pubblici della Bce. Dunque, non resta che una opzione: trovare i fondi all’interno del bilancio, abolendo le riforme dei precedenti governi. Si può, per esempio, abolire il bonus da 80 euro di Ren- zi che, assieme al bonus bebè, costa 10 miliardi l’anno, si possono eliminare l’abolizione dell’Irap lavoro (4 miliardi), la riduzione dell’Ires (4 miliardi), i super e iperammorta- menti (2 miliardi), il credito d’imposta in Ricerca e svi- luppo (1 miliardo), l’Iri, ossia la flat tax per le Pmi (2 mi- liardi). Si può ripristinare l’Imu prima casa (3,5 miliardi), abolire la detassazione dei premi di produttività (1 mi- liardo), le misure pensionistiche degli ultimi anni (3 mi- liardi), il contrasto alla povertà (2 miliardi), gli ecobonus e altre detrazioni per la casa (1,5 miliardi). Questo è il “catalogo” di Tria, che vale complessivamen- te oltre 30 miliardi: non resta che scegliere. Ma i populi- sti ne saranno capaci? • (p.m.) EDITORIALE 9

RkJQdWJsaXNoZXIy NDY5NjA=