Civiltà del Lavoro, n. 3/2018

FOCUS CIVILTÀ DEL LAVORO III- 2018 38 il passaggio dalle ventiquattro autorità alle quindici Aree di sistema portuale, all’interno delle quali i 58 principa- li porti d’Italia diventano elementi strategici di un’unica piattaforma logistica, ha segnato la fine di logiche locali- stiche in nome della costruzione di filiere logistiche in cui porti, interporti, terminal intermodali e ferroviari si confi- gurano come altrettanti snodi di un’unica realtà nazionale. Potrà stupire, ma in Italia è a lungo mancata una perce- zione dell’importanza dell’economia marittima, il mare non è sempre stato considerato come settore industria- le e produttivo. Eppure si tratta di un comparto che con- ta più di 1 milione di impiegati solo nel cluster logistico e portuale, con un valore in termini economici pari a quasi il 2,6% del Pil, al quale va aggiunta la consistente fetta del cluster logistico che da sola vale il 14 % del Pil. L’in- terscambio commerciale marittimo dell'Italia è di 220 mi- liardi di euro, vale a dire che per ogni euro di scambi com- merciali che coinvolgono l’Italia 40 cent arrivano in Italia dal mondo via mare e 30 cent partono via mare dall’Ita- lia. Eppure, il Piano strategico è stato il primo documento di pianificazione pluriennale di settore finora elaborato e attuato da un esecutivo in Italia. DAI PORTI-CITTÀ ALLA NAZIONE-PORTO Uno scossone al settore arriva a metà degli anni Duemi- la anche sulla scorta delle indicazioni della Commissione europea, che inaugura la Politica marittima integrata co- munitaria (Libro verde e Libro blu). Il mare, rimarca l’U- nione europea, deve diventare un fattore strategico per l’economia continentale. L’Italia recepisce il messaggio e spinge sulla necessità di far evolvere un settore che tra ritardi e inefficienze perde circa 50 miliardi l’anno. Di fronte all’esigenza di una riforma così radicale di pro- spettiva e di metodo, serve una sintesi in grado di porre le modifiche dell’assetto normativo al servizio di una visione. Ecco il perché del Piano strategico del 2015. “Con esso sono state gettate le basi per lo sviluppo di un nuovo sistema di trasporti attraverso la definizione di obiet- tivi e l’individuazione di un preciso percorso comprensivo di azioni concrete che nel tempo esploderanno tutte le loro potenzialità”. A spiegarlo è Ivano Russo, direttore di Confetra, la federazione delle associazioni operanti nella logistica che fa capo a Confindustria e soprattutto tra gli artefici della riforma. Russo è stato consigliere del mini- stro Delrio e da lui delegato al coordinamento dei lavori della Conferenza nazionale di Coordinamento delle Auto- rità di sistema portuale. Se c’è uno che ha visto la riforma nascere e fare i primi passi, questi è lui. “Il sistema ruota- va intorno a 25 city-port a fronte di un mercato domina- to da porti-nazione come quelli di Amburgo, Rotterdam e i nuovi giganti del sud del Mediterraneo. Per competere con queste realtà non servono a niente le decine di porti città, serve invece far sì che l’Italia si comporti da nazione porto”. Basta con il porto emporio, che non interessa più a nessuno: all’industria manifatturiera e al commercio ser- ve una logistica in grado di assicurare transiti immediati. In questo scenario lo scalo è solo il singolo anello di una catena. “Oggi abbiamo dappertutto delle enormi banchi- ne sottoutilizzate – continua Russo – e come ha certifica- to la stessa Corte dei Conti europea abbiamo, da questo

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