Civiltà del Lavoro, n. 2/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO II - 2018 14 Dal 1983, con la Commissione Bozzi, fino al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 voluto da Renzi e bocciato dagli elettori, ci sono stati diversi tentativi di modificare la Costituzione, tutti falliti, a eccezio- ne della riforma del 2001. Come mai questa difficol- tà? Gli italiani sono dei “conservatori costituzionali”? In realtà si potrebbe dire che di questi 70 anni, i primi 35 sono stati impiegati in parte a ostacolare e a ritardare la piena entrata in vigore della Costituzione e gli altri 35 a cercare di cambiarla radicalmente e senza successo. Va ricordato, per esempio, che la Corte Costituzionale è sta- ta istituita solo nel 1956, ben otto anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, mentre per le Regioni abbiamo dovuto attendere i primi anni Settanta. E ci sono anco- ra articoli non attuati, come per esempio il 39, che pre- vede una legge sui sindacati e sulla rappresentanza, o il 49, che prevede una legge sui partiti, entrambe rifiutate in sostanza da tutte le forze politiche. Anche l’articolo 27, secondo il quale “le pene non posso- no consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, ri- chiederebbe una revisione approfondita del nostro appa- rato carcerario e più in generale del sistema penale, per assicurare pene sia certe che giuste ed umane. Una revi- sione, dopo le ultime modifiche risalenti agli anni ’80, che il governo Gentiloni con le iniziative del ministro Orlando ha solo timidamente cominciato e che non è stata ancora emanata, per il sopravvenuto scioglimento delle Camere. La difficoltà di una modifica complessiva della Costituzio- ne deriva dal fatto che l’attuale meccanismo di revisione, basato sull’articolo 138, non si presta a una riscrittura ge- nerale e approfondita di essa, ma favorisce riforme spe- cifiche e mirate su singoli punti. E cioè? Per esempio, la riforma varata dal governo Renzi e boc- ciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016 concentrava in un unico testo assai complesso una serie di profili e di aspetti fra loro molto diversi. Forse sarebbe stato meglio prevedere quattro o cinque diverse leggi di revisione: una sul superamento del bicameralismo pari- tario, una sulla revisione dei poteri regionali, una sull’a- bolizione del Cnel e via elencando, e sottoporle separa- tamente al giudizio degli elettori che avrebbero potuto approvare una riforma e bocciarne un’altra. C’è un’altra ragione, ancor più profonda. Sono stati boc- ciati i tentativi di legare le riforme costituzionali a speci- fici progetti politici, che avevano l’obiettivo di legittimare una leadership. Gli elettori hanno rifiutato questi tentati- vi, dimostrando un certo conservatorismo costituzionale. E in fondo non è stato un male. Le difficoltà della situa- zione in cui ci troviamo oggi non sono – come qualcuno va dicendo – la conseguenza della bocciatura della rifor- ma costituzionale; sono la conseguenza del legame im- provvido introdotto fra quest’ultima – prima della sua ap- provazione che poi non c’è stata – e una legge elettorale che presentava molteplici inconvenienti e che poco do- po è stata dichiarata incostituzionale in due punti centrali.

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