Civiltà del Lavoro, n. 1/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2018 L’ ITALIA “POPULISTA” TRA UE E MERCATI IL QUESITO che aleggia sull’Italia è questo: un nuo- vo governo a trazione populista, in versione cinquestelle o leghista, o un lungo periodo di ingovernabilità, inter- romperà il percorso di ripresa dell’economia, confermato dagli ultimi dati? La tranquillità dei mercati, dopo i risul- tati elettorali del 4 marzo che hanno visto il successo di M5S e Lega e la sconfitta del Pd, lasciano pensare che la ripresa continuerà, spinta dalla crescita globale, e che le vere minacce vengano semmai dai dazi americani, che potrebbero innescare una guerra commerciale. Anche le reazioni di Bruxelles sono prudenti. “Keep calm and carry on” (Mantenete la calma e andate avanti) ha commentato all’indomani dei risultati il portavoce della Commissione Margaritis Schinas, ricorrendo a un celebre monito del governo inglese all’inizio della Seconda Guer- ra Mondiale, per tranquillizzare la popolazione. Un atteggiamento diverso da quello del presidente Juncker, che prima delle elezioni aveva espresso preoccu- pazione (ma si era subito corretto) per il rischio di ingo- vernabilità. Rincuorato dal via al quarto governo Merkel, Bruxelles confida in Mattarella, ma soprattutto nel fatto che nell’ultima fase della campagna elettorale ai procla- mi più bellicosi di M5S e Lega, a cominciare dall’ipotesi di uscita dall’euro, era stata messa la sordina. C’è anche la sensazione che le mirabolanti promesse elet- torali, dal reddito di cittadinanza alla flat tax, all’abolizio- ne della legge Fornero, si riveleranno impossibili alla pro- va dei numeri e resteranno per gran parte nel cassetto. Qualcuno confida anche nel fatto che un prolungato perio- do di ingovernabilità, come accaduto in Germania, Spagna e Belgio, per poi magari tornare alle urne, non sarebbe così negativo, visto che al governo resterebbe Gentilo- ni. Ma è davvero così? La Germania ha una finanza pub- blica solidissima, col bilancio statale addirittura in attivo. La Spagna ha una tradizione di governi di minoranza. E il Belgio ha un’economia non comparabile con la nostra. Da noi un governo è più necessario che altrove, sia per completare l’uscita dalla crisi e consolidare la crescita, sia per governare la finanza pubblica. Entro il 10 aprile il governo deve per esempio presentare il Documento di economia e finanza (Def) per indicare il percorso dei bilanci pubblici dei prossimi tre anni, su cui gravano le famose clausole di salvaguardia per garanti- re gli obiettivi di riduzione del deficit concordate con Bru- xelles: aumento di Iva e accise per 12 miliardi nel 2019 e 19 nel 2020. Se si vuole evitare questo aumento delle imposte indirette, un governo è indispensabile. E sempre in aprile arriverà il verdetto della Commissione sul bilan- cio 2018, cui mancherebbero quattro miliardi per essere in linea con gli obiettivi: non è una gran cifra e può darsi che Bruxelles ce la abbuoni, anche perché nel 2017 il de- ficit si è ridotto all’1,9%, (più delle previsioni del 2,1%) e anche il debito pubblico in rapporto al Pil è calato, sia pu- re solo dello 0,5%. Ma se non ce l’abbuonasse il governo (quale?) dovrebbe varare in primavera una manovra cor- rettiva, altrimenti rischieremmo una procedura d’infrazio- ne. Infine, nel corso del 2018 il Quantitative Easing della Bce di Draghi potrebbe arrivare alla fine e questo potreb- be aumentare i tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato. Sullo sfondo ci sono poi le grandi sfide della riforma Ue, in vista delle elezioni europee del 2019. Ora che la Merkel ha formato il governo, l’asse franco- tedesco si rimetterà in moto. E un’Italia senza governo, o con un governo euroscettico, potrebbe essere tagliata fuori da scelte decisive per il nostro futuro. Ecco perché la relativa indifferenza dei mercati non dure- rà a lungo. Speriamo che i vincitori delle elezioni, Salvini e Di Maio, se ne rendano contro. • EDITORIALE 7

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