Civiltà del Lavoro, n. 6/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2017 25 Qualche esempio? Ho partecipato a numerosi incontri ed eventi sulla legalità. Per uno di questi, un concorso, insieme ad altri due com- pagni abbiamo creato un sito web nel quale, raccontando la storia della comunità valdese, cercavamo di comunicare un messaggio di pace e di tolleranza. Abbiamo anche vinto. Una passione a cui non vuole rinunciare? La fotografia, in particolare amo i ritratti. Non sottrae mol- to tempo allo studio e quindi credo che continuerò a farlo. Come si descriverebbe in due parole? Introversa, ma anche molto determinata. Cosa significa per lei essere Alfiere del Lavoro? Prima di tutto è stata una grande sorpresa. Nonostante sa- pessi di essere stata indicata dalla preside della mia scuo- la, non mi aspettavo di ricevere il premio. Rappresenta un grande onore e un riconoscimento dei sacrifici fatti. La no- tizia è stata accolta con grande gioia e in famiglia sono tut- ti entusiasti e orgogliosi di me. Lorenzo Farrugio PSICHIATRIA PER CURARE L'ANIMA DELLE PERSONE Cosa prova ad essere Alfie- re del Lavoro? Premetto che la notizia è giunta del tutto inaspettata. Ricevere questo titolo rappre- senta per me un grande ono- re e lo dedico prima di tutto agli studenti, gli insegnanti e alla preside della mia scuola; al tempo stesso vorrei dedicarlo a tutti i coetanei che ogni giorno si impegnano nello studio. Ci tengo perché, sebbe- ne sia normale per un premio scegliere una cerchia rap- presentativa, è giusto che chi lavora e si impegna, e nel mondo della scuola sono tantissimi, venga gratificato. È un riconoscimento simbolico che spero possa spronare a fa- re sempre meglio. Ha scelto Medicina e chirurgia alla Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Perché? Tutto è nato dal mio ricovero nel 2010 per un’appendicite, poi divenuta peritonite. In quella occasione ho preso co- scienza di cosa voglia dire una lunga degenza in ospedale ed è lì che è nata la voglia di prendermi cura dei malati. “Medice, cura te ipsum”, dicevano i latini e anche io pen- so che solo un medico che ha preso coscienza di sé stesso può dedicarsi agli altri. A quale specializzazione pensa? Psichiatria: curare l’anima delle persone è forse più arduo del corpo, ma ad oggi è questa che sento come la mia vo- cazione. Stando sul campo, tuttavia, non escludo di cam- biare idea. Medicina è una facoltà impegnativa, dieci anni di stu- dio in media fra laurea e specializzazione. È vero, ma ritengo che quanto più si investe nella propria cultura, tanto più verrà restituito in futuro. Cosa pensa delle recenti polemiche dei No-vax? Sono il retaggio di una cultura anti scientifica che l’umani- tà si porta dietro. Ciò non toglie il fatto che la scienza non è un’opinione e che la salute pubblica deve prevalere sul singolo, specie se si mettono a repentaglio vite altrui. Il principio di autonomia, a cui il paziente ha diritto, non de- ve scontrarsi con la libertà del medico, che deve poter in- tervenire laddove veda un pericolo per la salute. Detto questo, l’ideale di medico a cui guardo è quello di una persona che cerca di essere empatica con il proprio paziente e lo pone nella migliore condizione possibile di consapevolezza affinché il paziente stesso possa sceglie- re in modo giusto. Dove le piacerebbe lavorare? Nella sanità pubblica, nonostante venga sempre di più de- pauperata. È una delle nuove matricole del Collegio Lamaro Poz- zani. Cosa si aspetta? Di poter crescere sia dal punto di vista culturale che uma- no, grazie al rapporto con colleghi che provengono da di- verse facoltà e alle numerose attività che la struttura offre. Abbiamo cominciato corsi di economia, soft skill, lingue, in- somma il Collegio è un’opportunità unica. Che ricordo ha della scuola? Bellissimo. Sono stato anche rappresentante d’istituto e son rimasto molto legato alla mia scuola. Nel ricevere il pre- mio, per un momento, ho recuperato un po’ quelle vesti, rappresentando simbolicamente il mio liceo. Tre parole per definirsi. Dedito, appassionato, leale. •

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