Civiltà del Lavoro, n. 3/2016 - page 9

CIVILTÀ DEL LAVORO
III- 2016
LE
SORPRESE
DELLA
BREXIT
CIÒ CHE PIÙ HA SORPRESO
della Brexit non
è tanto la decisione in sé, ampiamente prevista fino a
che l’omicidio della deputata laburista Joe Cox da parte di
un ultrà favorevole all’uscita, non ha scatenato un’ondata
emotiva che sembrava favorire il “remain”.
La sorpresa è stata piuttosto l’immediato pentimento di
una parte dei votanti pro Brexit, che hanno espresso il lo-
ro sconcerto sui social media e in parecchi hanno anche
chiesto di ripetere il referendum, cosa che le leggi attua-
li non consentono.
Un’altra sorpresa è stato il fulmineo tramonto dei vincito-
ri della Brexit: se l’uscita di scena di David Cameron, so-
stituito da Theresa May alla guida del partito conserva-
tore e del governo, era scontata, non lo erano affatto la
rinuncia di Boris Johnson (che ha ottenuto il Foreing Offi-
ce come premio di consolazione) a correre per la succes-
sione di Cameron e la decisione di Nigel Farage di lascia-
re la guida del partito indipendentista Ukip, a conferma
che dai tempi di Churchill (che vinse la guerra al nazismo
e poi perse le elezioni) in Gran Bretagna le vittorie sono
molto pericolose e spesso letali.
Una terza (relativa) sorpresa è stato il fatto che a fare le
spese dell’instabilità diffusa dalla Brexit sui mercati finan-
ziari sono state soprattutto le nostre banche (visto che i
nostri titoli di Stato sono per fortuna protetti dallo scudo
del Quantitative Easing della Bce).
Alla vigilia del referendum, molti analisti avevano soste-
nuto che l’economia italiana sarebbe stata tra le meno col-
pite dalla Brexit. In realtà, quando si alza la marea dell’in-
stabilità, tra i primi a finire sott’acqua siamo noi italiani,
per le nostre storiche fragilità: l’enorme debito pubblico,
la scarsa competitività e l’inefficienza del nostro apparato
pubblico. Sicchè le nostre banche, a causa delle sofferenze
accumulate in otto anni di crisi, sono entrate in affanno e
la bufera in Borsa si è placata solo perché il ministro Pa-
doan, utilizzando tutti gli spiragli offerti dalle norme sugli
aiuti di Stato e sul “bail in”, è riuscito a concordare con la
Commissione europea che, in caso di necessità, le nostre
banche più debilitate (in primo luogo il Monte Paschi)
potranno essere ricapitalizzate anche con fondi pubblici.
I tedeschi hanno benignamente accettato, sia perché han-
no riconosciuto che la tempesta dipende dalla Brexit e
non dai nostri “vizi”, sia perché anche loro hanno diver-
si problemini con le banche, dai derivati della Deutsche
Bank alla debolezza della Landesbank di Brema. E dun-
que un approccio tollerante di Bruxelles potrebbe giova-
re anche a loro.
Resta da capire che cosa succederà all’Europa.
C’è chi dice che non conviene insistere ed è meglio tor-
nare alle sovranità dei singoli Stati, mantenendo l’accor-
do commerciale del mercato unico e l’accordo di cambio
dell’Euro. C’è chi sostiene, invece, che la Brexit è un’op-
portunità per procedere, pochi ma buoni, verso il fede-
ralismo. A quali condizioni, lo spiega Enzo Moavero Mila-
nesi, già ministro degli Affari europei nei governi Monti
e Letta, nell’intervista di apertura di “Civiltà del Lavoro”,
che, allargando poi lo sguardo verso sud-est, affronta le
crisi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Isis dopo
l’attentato di Nizza e il fallito golpe in Turchia.
Sullo sfondo resta il problema di una crescita anemica
della nostra economia, che non riesce a decollare e anzi,
secondo gli ultimi dati di Istat e Bankitalia, si sta appiat-
tendo sotto l’1% contro l’1,2% dell’ultima stima del Go-
verno, mentre incombe il referendum costituzionale d’au-
tunno, che in caso di vittoria del “no” potrebbe riportarci
anche nell’instabilità politica.
In queste condizioni è comprensibile che gli investimen-
ti, essenziali per la ripresa, latitino: quelli pubblici, anche
perché le incertezze della nuova legge sugli appalti stan-
no paradossalmente bloccando le gare (e quanto siano
necessari e urgenti gli investimenti infrastrutturali lo ha
dimostrato la strage ferroviaria in Puglia); quelli privati,
perché le difficoltà delle banche stanno riducendo il cre-
dito per le imprese.
Da qui la necessità di accelerare il ricorso a strumenti al-
ternativi al credito bancario, per far affluire l’immenso ri-
sparmio degli italiani direttamente all’economia reale e
alle Pmi: alla “finanza per la crescita” dedichiamo un al-
tro approfondimento. Se ne parla ormai da molti mesi.
Forse è ora di passare all’azione. Prima che sia tardi.
EDITORIALE
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