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SINTESI IN PRIMO PIANO – 2 ottobre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Coronavirus: stato d’emergenza prorogato fino al 31 gennaio 2021;
– I temi caldi del Governo: revisione decreti sicurezza e concorsi scuola;
– Manovra: una spinta da 45 mld al Pil; Recovery Plan, il ministro Gualtieri in audizione al Senato;
– Confindustria: Bonomi chiede riforme per evitare licenziamenti;
– Cina: incontro tra il Segretario di Stato Vaticano Parolin e il Segretario di Stato Usa Pompeo;
– Consiglio Europeo: all’odg la situazione in Turchia, Libia e Bielorussia.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera
Autore:  De Bac Margherita
Titolo: Stato d’emergenza prolungato fino al 31 gennaio: tutte le regole – Il governo proroga lo stato di emergenza fino a gennaio 2021 Opposizioni all’attacco
Tema: Emergenza Covid-19
Proroga fino al 31 gennaio 2021 dello stato d’emergenza per la pandemia. Ieri il premier Giuseppe Conte, dopo un incontro con la maggioranza, ha rotto gli indugi annunciando ciò che da giorni era nell’aria. E non avrebbe potuto essere diversamente alla luce del quadro attuale. Contagi sopra i 2.500 in Italia, resto d’Europa sotto scacco. E il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia, per «monitorare ogni esigenza territoriale» in questa fase critica, ripristina la riunione giornaliera del comitato operativo della Protezione civile con le Regioni. Era quasi scontato che il governo andasse avanti lungo una strada imboccata il 31 gennaio 2020. Lo stato d’emergenza, in scadenza il 15 ottobre, comporta strumenti di azione non ordinari che quindi abbreviano procedure di spesa e tempi. Tra l’altro restano gli organismi creati per rispondere al Covid-19, commissario straordinario e Comitato tecnico scientifico, e si può ricorrere ai dpcm che hanno scandito questi mesi di misure anti virus. «La situazione continua a essere critica, richiede massima attenzione», argomenta il premier. II ministro della Salute Roberto Speranza, in visita allo stabilimento Sanofi di Anagni dove verrà infialato, se avra il via libera, uno dei candidati vaccini studiati dall’azienda in partnership con GSK, persegue la linea di «prudenza e cautela» lungo la quale intende muoversi. Martedì parte il confronto in Parlamento. Polemiche aspre. «Conte venga in Parlamento e racconti, non sui giornali, spieghi, noi non sappiamo nulla. Non c’è confronto su tasse e pensioni, l’unica cosa su cui si mettono d’accordo è la legge elettorale, ultima priorità», incalza il leader della Lega, Matteo Salvini.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Iossa Mariolina 
Titolo: Un balzo nei contagi – L’impennata dei contagi Mai così tanti in cinque mesi
Tema: Emergenza Covid-19

Schizza in alto la curva dei contagi. Il bollettino del ministero della Salute del primo ottobre ha registrato 2.548 casi in più rispetto al giorno precedente, mai così tanti da 5 mesi. Questo a fronte comunque di un ulteriore aumento del numero di tamponi, 118.236 in un giorno, +12.672 rispetto al giorno prima. Sono 24 i morti, e il numero totale si avvicina ai 36 mila (35.918). Aumentano di 1.384 i malati attuali, 3.097 sono i ricoverati in ospedale con sintomi (+50), e 291 sono in terapia intensiva (+11). «Le cose cominciano a mettersi peggio – ha twittato il virologo Roberto Burioni -. Vi prego, state attenti, mantenete le distanze, portate le mascherine, evitate luoghi affollati al chiuso, lavatevi le mani. Il virus è lì fuori, infettivo e nocivo come nella scorsa primavera. Dipende tutto da noi». Ci troviamo davanti ai primi segnali della riapertura delle scuole? Ne è convinto il virologo Fabrizio Pregliasco che «legge» i 2.500 nuovi casi legati «allo stress test della scuola che vedremo e vedremo ancora». Ma si tratta, continua Pregliasco, anche di un aumento «atteso alla luce della situazione che c’è nel contesto internazionale». I casi aumenteranno ancora ma il virologo dell’Università degli Studi di Milano è convinto di poter rassicurare sulla possibilità di «continuare a convivere con il virus. Ovviamente con organizzazione, più tamponi e comportamenti responsabili». Le scuole possono rappresentare un problema anche per i mezzi di trasporto utilizzati dal più grandi per andare negli istituti, e per gli assembramenti davanti agli edifici scolastici di genitori, e spesso nonni, che portano i più piccoli in aula o vanno a riprenderli all’uscita.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Russo Paolo 
Titolo: Mascherine obbligatorie anche all’aperto – Boom di contagi, pronta la stretta verso la mascherina anche all’aperto
Tema: Emergenza Covid-19

Saranno i primi effetti della riapertura delle scuole. Oppure il fatto che ci siamo messi a dare la caccia al virus con il record di 118 mila tamponi in un solo giorno. Fatto sta che ieri i contagi sono schizzati in 24 ore da 1.851 a 2.584, paria un più 39%. Una impennata che fa tremare i polsi a governo e governatori. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, aspetterà di capire qual è il trend nei prossimi giorni. Ma se i numeri continueranno a salire è già pronto a proporre al premier di estendere l’obbligo di mascherina anche all’aperto in tutta Italia con il prossimo dpcm, che dovrà prorogare le misure in scadenza il 7 ottobre. Altrettanto è pronto a fare Zingaretti per gli abitanti del Lazio già oggi, visto che in regione i casi erano ieri a quota 265 e I’R con t, l’indice di contagiosità a 1,09, quindi sopra la soglia di sicurezza di uno. Mentre in Campania De Luca minaccia il lockdown. Ma già prima di vedere il boom di contagi era stato Conte ad annunciare di voler andare in Parlamento a chiedere la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio. Altrimenti già il prossimo 15 ottobre il commissario Arcuri avrebbe dovuto fare le valigie, con il rischio di restare poi impigliati nei cavilli del codice degli appalti per acquistare attrezzature sanitarie e scolastiche. Ma anche per avviare i lavori necessari a mettere in sicurezza gli oltre 5 mila posti letto di terapia intensiva tirati su in tutta fretta nei mesi bui dell’epidemia. Senza stato di emergenza si dovrebbe dire addio anche allo smart working, che in tempi normali richiede accordi con i singoli lavoratori. Passi indietro difficili da compiere mentre la curva dei contagi torna ad impennarsi come non si vedeva dal 24 aprile, quando eravamo tutti in pieno lockdown.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Strappo di Di Battista “L’alleanza con il Pd Morte Nera per M5S” – 5S, lo strappo di Di Battista “Il patto col Pd è la Morte Nera” I big: subito il vertice collegiale
Tema: M5S

I vertici del Movimento 5 stelle accelerano. E Alessandro Di Battista passa all’attacco. Luigi Di Maio, Paola Taverna, Alfonso Bonafede, Stefano Patuanelli, vorrebbero subito una votazione on line per far nascere l’organo collegiale che dovrà sostituire il capo politico. Prima che sia troppo tardi. Prima che una discussione estenuante metta a rischio la tenuta della maggioranza e del governo. I dirigenti grillini non vogliono ancora dirlo chiaramente, anche perché la maggior parte dei parlamentari aveva scelto una strada ben più lunga, ma il reggente Vito Crimi non è tenuto a rispettare alcuna indicazione: sceglierà da sé ed è probabile che scelga, ancora una volta, quello che il resto del “caminetto” M5S gli suggerirà. Anche per questo, Di Battista – silente dal giorno in cui è salito su un palco in Puglia contro la rielezione di Michele Emiliano – è passato all’attacco ieri con un’intervista a Piazzapulita in cui ha definito l’alleanza organica Pd-M5S «la morte nera del Movimento». Nicola Zingaretti come Darth Fener, insomma. L’intesa con i dem, considerata alla stregua di una malefica e distruttrice luna artificiale. Sostiene Dibba che continuando così la forza politica per la quale ha lottato diventerà «come l’Udeur, buona a spartirsi le poltrone». «Se volessi fare politica a tutti i costi – spiega l’ex deputato mi allineerei, Si apre anche il fronte Rousseau: gran parte dei parlamentari vorrebbe rimuovere dallo statuto ogni legame con la piattaforma di Casaleggio e invece voglio continuare a dire la mia». Invoca battaglie contro il conflitto di interessi, per l’intervento dello Stato in economia, per l’acqua pubblica, la sanità pubblica. Insomma molte delle cose che ha detto anche Roberto Fico, ma come fosse l’unico a rivendicarle ancora. Soprattutto dice: «La verità è che molti di quelli che ora chiedono una guida collegiale in passato non lo hanno mai voluto e adesso hanno cambiato idea per paura che il capo politico diventi io».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bertini Carlo – Capurso Federico 
Titolo: M5S frena sui decreti sicurezza Il Pd: serve una verifica di governo
Tema: Decreti Sicurezza

Lunedì il governo dovrebbe varare un nuovo decreto legge che modifica i decreti sicurezza di Salvini, ma con i 5stelle nulla può darsi per scontato. Sul merito c’è intesa, ma sullo strumento del decreto, i grillini sollevano dubbi: per far vedere che il Pd se lo deve sudare. «I decreti sicurezza saranno portati al Consiglio dei ministri fissato per lunedì sera», garantisce Giuseppe Conte. E così sarà. Ma dopo l’uscita di Vito Crimi sul fatto che il Cdm «dovrà valutare se ci sono i requisiti di necessità e urgenza per fare un decreto legge», la tensione sale nella maggioranza. In serata sembra tornare il sereno: quando Crimi assicura che «non ci sono intenti dilatori». Ma il reggente grillino ribadisce che «quando arriva un testo frutto di una condivisione parlamentare il governo deve fare anche altri tipi di valutazione». Non fa marcia indietro. Da Palazzo Chigi garantiscono che lunedì si porteranno in Cdm i decreti: «E se lì verranno fuori delle perplessità del Movimento, ne discuteremo». Comunque finirà, l’episodio di ieri è indice di una continua incertezza: con il Pd che dopo le regionali «batte cassa» su Mes e decreti sicurezza; e con i grillini che non sanno che fare su ogni cosa, nel timore di essere impallinati da Salvini. II Pd e la “verifica” di governo Nicola Zingaretti – dopo aver lanciato il nuovo piano di riforme costituzionali del Pd bollato dai Cinque stelle come una fuga in avanti – non drammatizza la frenata di Crimi sul decreto in tema di migranti. E attende al varco Conte. Avverte che «sull’alleanza il punto di equilibrio su 19 punti raggiunto in agosto non è più sufficiente».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  De Riccardis Sandro 
Titolo: Fondi Lega, si indaga su 29 milioni Operazione gonfiata di Di Rubba
Tema: Fondi Lega

Ventinove milioni di cui non si conosce la reale provenienza e nemmeno i veri beneficiari finali. Uno schema simile a quello sulla compravendita della sede della Lombardia Film Commission di Cormano, che ha portato agli arresti dei tre commercialisti della Lega, perché viene movimentata in pochissimo tempo u-ßa enorme mole di denaro, poi finito in fondi anonimi, società estere e polizze vita. Tra le decine di segnalazioni di operazioni sospette (Sos) arrivate da Banca d’Italia sui commercialisti leghisti Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, la procura ha deciso di approfondire tre alert collegati tra loro e considerati i i più interessanti. Da dove arrivano i 29 milioni? Al centro dell’indagine, l’acquisto e la successiva vendita da parte dell’imprenditore bergamasco Marzio Carrara (non indagato) delle aziende di stampa Nuovo istituto di arti grafiche (Nilag) ed Eurogravure, possedute dal gruppo tedesco Bavaria Industries. Ad acquistare, nel gennaio 2018, è Arti Group Holding, partecipata da Carrara e da Di Rubba, che versa ai tedeschi 5 milioni. Quattro mesi dopo AGH cede le due aziende a Elcograf del gruppo Pozzoli (non coinvolto nell’inchiesta) per 29 milioni. Quasi sei volte il prezzo d’acquisto. Per la Guardia di Finanza di Milano «non è possibile stabilire una diretta corrispondenza tra le disponibilità sul conto corrente e la disponibilità del bonifico da 29 milioni, dal momento che sul conto di Elcograf risultano accreditati sei bonifici» da altri conti della stessa società acquirente. «Non possiamo escludere – scrive Banca d’Italia – che i fondi ricevuti come corrispettivo della Arti Group Holding siano collegati ad attività di finanziamento illecito dei partiti (Lega Nord)».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – La traversata di Salvini non parte da Catania
Tema: Il caso di Salvini

Nelle giornate in cui si registrano più di 2.500 nuovi casi di Covid e – ieri – 24 decessi, e mentre si comincia a fare i conti con la possibilità di una ripresa dei contagi, il centro-destra si prepara alla manifestazione di Catania a sostegno di Salvini che verrà processato per non aver fatto sbarcare subito i migranti a bordo della nave Gregoretti. I fatti risalgono a quando era ancora ministro dell’Interno ma la vicenda giudiziaria viene scelta come bandiera politica per tenere alta l’attenzione sulla leadership del Capitano e sul suo cavallo di battaglia, l’immigrazione. Naturalmente gli alleati non possono non andare. Forza Italia per solidarietà di coalizione e perché la lotta contro le procure resta ancora un “marchio” berlusconiano. E la Meloni avrà il suo palco e il suo spazio per fare la sua prima uscita dopo essere stata eletta a capo dei conservatori europei e quindi per rilanciare sul tema dei confini e di come cambiare l’Unione. L’unica domanda è: ma davvero la gente ha la testa sul processo di Salvini? Insomma, con i contagi che incalzano e la preoccupazione che cresce, davvero tornare a una personalizzazione della politica seguendo i tormenti giudiziari del leader leghista serve? L’impressione è che il Capitano per primo non abbiacompreso che questa fase richiede una declinazione al plurale e non un registro sulle proprie vicende.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Salvini sfida le toghe “Saranno gli italiani a dire se ho sbagliato”
Tema: Il caso di Salvini

Sorride, appena sbarcato a Catania, ma dietro la maschera da Joker Matteo Salvini è un concentrato di tensione e rabbia. Che scatena sbottando contro giudici e Parlamento, alla centesima domanda sul processo che si apre domani. «Certo, sarei più contento se i magistrati si dedicassero a catturare mafiosi e delinquenti, ma resto tranquillo, mi vedete preoccupato?» risponde a muso duro. Qualche ora prima,, si era spinto dove solo Berlusconi – sommerso dai processi – aveva osato negli anni passati. Fino al disconoscimento eversivo di un potere dello Stato: «È chiaro che non c’è un reato nel mio caso, saranno gli italiani alle prossime elezioni a dire se Salvini ha fatto bene o male», sentenzia l’ex ministro dell’Interno. È la berlusconizzazione finale della Lega e del suo leader. La kermesse di tre giorni aperta ieri alla Nuova Dogana di Catania alla presenza di tutto il partito (precettati deputati, senatori e europarlamentari) prevede dibattiti su cultura, infrastrutture, ambiente, immigrazione. In realtà già all’ingresso dell’enorme spazio convegni sul porto campeggiano i palloncini blu “Processate anche me”. È un’enorme macchina mediatica allestita per far pressione sul Tribunale. Nonostante le rassicurazioni del leader: «Noi usiamo questo periodo per parlare di futuro mentre il governo fa smontare leggi e decreti sicurezza. Noi siamo al porto per discutere di progetti», dice Salvini a San Giovanni La Punta, alle pendici dell’Etna, a margine di un comizio semideserto. «Se poi in piazza c’è qualcuno che spera che io vada in galera, ha una vita triste lui. La nostra non sarà una manifestazione contro i giudici ma di proposta».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cassese Sabino 
Titolo: Il commento – La scuola e i concorsi da fare – La scuola e i concorsi che vanno fatti
Tema: La scuola e i concorsi

Una inedita alleanza Lega, Pd, sindacati della scuola, dopo aver spinto per rinviare ad ottobre il concorso straordinario per la scuola bandito ad aprile, vuole ora che non si faccia. «Si apra il tavolo per una soluzione migliore», ha detto qualcuno. Qualcun altro ha proclamato: «non fare nessun concorso»; «stabilizzare le migliaia di precari che insegnano già da anni». Resiste coraggiosamente la ministra Azzolina. I posti sono 32 mila, i candidati poco più di 64 mila. II concorso è riservato a chi è stato supplente per tre anni e consisterà in una prova scritta di due ore e mezzo. E’ necessario non solo perché candidati sono il doppio dei posti, ma anche perché il sistema scolastico è nazionale, i supplenti sono stati scelti dagli uffici scolastici regionali e in qualche caso dai dirigenti scolastici, sulla base di criteri diversi e talora non rigorosi (Boeri e Rizzo, nel loro libro Riprendiamoci lo Stato, hanno segnalato il «trenino delle maestre»: l’insegnante si ammala; viene nominato il supplente, che si ammala a sua volta, e così via). Ma ci sono molti altri motivi per cui bisogna fare i concorsi. Ci obbliga la Costituzione, articolo 97: «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Solo con Il concorso (con un concorso fatto perbene) si può misurare il merito, cioè qualità, esperienza, capacità, abilità.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Ajello Mario 
Titolo: L’aut aut di Zingaretti: il nome per Roma adesso o primarie a fine anno
Tema: Il Pd, il nome per la Capitale

Un appello quasi disperato. Quello di Nicola Zingaretti su Roma. Il segretario del Pd sulla Capitale si gioca tutto, è il dem romano per eccellenza ed è quello – il governatore del Lazio – che più di tutti si sta spendendo perché non vinca la destra sul Campidoglio. Ieri se n’è uscito così: «Faccio appello alla classe dirigente di sentire anche il dovere etico e civile di dare a questa Capitale l’opportunità di essere la riscossa del riformismo italiano. Roma deve tornare a volare. E il sindaco sarà una delle poche certezze per i prossimi 5 anni. Io solleciterò la classe dirigente democratica a farsi avanti. Se non ci sarà chi si fa avanti per una candidatura forte e condivisa, allora tra dicembre e gennaio faremo le primarie, e i cittadini sceglieranno». Primarie che rischierebbero di diventare il festival dei pesi minimi o medi. In una Capitale che deve pretendere al massimo. Fare le primarie? Nell’ottica zingarettiana sarebbe un ripiego, una sconfitta, un diminutio per il rango della sinistra che aspira a incarnare non solo se stessa ma un sentimento generale della città distrutta da anni di grillismo e vogliosa di ambizione. Il problemaccio, per il Pd e per Zingaretti soprattutto, è che i big del partito si tirano indietro, le grandi figure della società civile – quelle che ancora esistono, se esistono – di Roma non ne vogliono sapere vista la difficoltà e del cimento e insomma: Zingaretti soffre, e assai.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Rogari Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Manovra: una spinta da 45 miliardi al Pil, investimenti oltre il 4% – Pil, spinta da 45 miliardi in tre anni Progetti di riserva per il Recovery
Tema: Recovery Plan, il ministro Gualtieri in audizione al Senato

Gli spazi di deficit aggiuntivo da 1,3 punti di Pil serviranno alla legge di bilancio anche per anticipare gli investimenti poi finanziati dal Recovery Fund, con una sorta di ponte che agirà prima di tutto sul rilancio di Industria 4.0 in versione «plus» e la spinta agli investimenti pubblici. E per evitare i rischi legati alla possibile bocciatura degli interventi che si candidano ai finanziamenti si studia l’idea di preparare «progetti panchina», chiamati a subentrare in caso di stop Ue. Una doppia mossa, quella studiata dal governo per la manovra, che serve a sostenere una scommessa da 45 miliardi di crescita extra in tre anni: scommessa ambiziosa ma indispensabile per piegare un debito ora al 158% del Pil. A produrre la crescita aggiuntiva messa in calendario dalla Nadef dovrà essere l’accoppiata di misure espansive e aiuti Ue. In un piano che 36 miliardi nel periodo di azione del Recovery Plan punta a portare gli investimenti pubblici sopra il 4% del Pil, cioè a un livello quasi doppio rispetto agli ultimi anni. Lo scatto è misurato dai numeri indicati ieri dal ministro dell’Economia Gualtieri nell’audizione al Senato sulle linee guida del Recovery Plan. Il Pil, come da anticipazioni dei giorni scorsi, dovrebbe crescere secondo il programma del 6% l’anno prossimo, del 3,8% nel 2022 e del 2,5% nel 2023. Ritmi inediti per la storia recente italiana, che dal 2000 non vede una crescita annuale sopra il 3%. E figli dell’effetto trascinamento del rimbalzo previsto l’anno prossimo, ma anche di un potente effetto espansivo ipotizzato dal governo. In termini cumulati, indica appunto una produzione aggiuntiva vicina ai 45 miliardi in tre anni. Una spinta del genere è necessaria per innescare subito una riduzione del maxi-debito posto Covid, che dal 158% del Pil di quest’anno scenderebbe al 155,6% l’anno prossimo e al 151,5% nel 2023, per tornare secondo Gualtieri «sotto il 130% alla fine del decennio».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca 
Titolo: L’incubo manovra dimezzata Il governo prepara il piano B
Tema: Manovra da 40 mld

Quasi metà della legge di bilancio dipende da Bruxelles. I veti dei Paesi frugali e del gruppo di Visegrad, che minacciano di ritardare l’avvio del programma “Next Generation Eu”, sono un problema per l’Italia. La manovra da 40 miliardi annunciata dal ministro Roberto Gualtieri, infatti, si regge sui 22 miliardi in deficit stabiliti nella nota di aggiornamento al Def (Nadef) e su circa 15 miliardi di “grants”, i soldi a fondo perduto attesi nel 2021 grazie al RecoveryFund. La Nadef li considera senza dettagliare quando saranno disponibili, se dalla primavera o più avanti nel tempo. Proprio la contabilizzazione di queste risorse è la ragione principale che ha fatto slittare il documento di finanza pubblica al Cdm di lunedì, dopo il Consiglio europeo. «La stesura è particolarmente complessa», ha ammesso il ministro Roberto Gualtieri, intervenendo ieri prima al Festival delle città e poi in audizione al Senato. Il ministro ha fatto capire che il negoziato è in corso, ma lui è ottimista: il Mef non vede il pericolo che il menu della legge di bilancio debba essere stravolto per colpa di qualche leader Ue che non vuole pagare il conto. «Siamo fiduciosi che queste visioni diverse verranno finalizzate – ha spiegato l’inquilino di via XX settembre – è normale che ci sia una trattativa, supereremo gli ostacoli». Perciò conferma la tabella di marcia: «Il 15 ottobre presenteremo lo schema di Recovery plan con una articolazione dei progetti e una allocazione delle risorse. Ci confronteremo con la Commissione europea per essere pronti il primo giorno utile quando i regolamenti saranno approvati». Il feedback di Bruxelles è determinante perché le norme saranno anticipate nella legge di bilancio, così da attuarle fin dall’inizio del 2021. «Dopo ci sarà un’integrazione delle risorse che abbiamo già stanziato», ha sottolineato il numero uno del Tesoro.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Bonomi: Fisco, serve una riforma complessiva – Bonomi: sul Fisco serve una riforma complessiva
Tema: Confindustria

«Con il Recovery Fund siamo di fronte ad una grande opportunità e sono molto preoccupato che non venga colta». Il motivo: «il metodo e l’efficienza della Pubblica amministrazione. Abbiamo bisogno di una Pa produttiva e competente». Carlo Bonomi parla all’assemblea dell’Ucimu (macchine utensili) e al Salone Nautico di Genova. «In questo momento abbiamo una responsabilità storica che coinvolge tutti, Confindustria, governo e sindacati. Possiamo mettere in campo tutti i soldi che vogliamo ma se non abbiamo il software che funziona, se ci mettiamo 20 anni a realizzare un’opera non si convertiranno mai in investimenti, necessari per far rialzare l’economia». Bonomi è tornato ad incalzare il governo: «a parole ho visto un avvicinamento alle nostre idee». E sul diverso clima registrato all’assemblea di tre giorni fa: «mi è stato detto che Confindustria ha cambiato idea, invece Patuanell idice che vuol rendere più forte Industria 4.0, Conte dice che non vuole rinnovare Quota 100. Chi è che è cambiato? Colgo l’apertura del governo, cerco diessere collaborativo e propositivo, come Confindustria ha sempre fatto». Con il governo «siamo disposti a collaborare se c’è unavisione di paese» ha detto Bonomi, rispondendo alle domande del direttore de La Stampa, Massimo Giannini. «Non c’è antagonismo tra me e il presidente del Consiglio, sono stati enfatizzati i nostri rapporti dialettici, noi non facciamo scommesse sulla politica, ci occupiamo di politica economica. Riservandoci il diritto-dovere di valutare i provvedimenti».È stato un errore per Bonomi abbandonare Industria 4.0: «la manifattura ha dimostrato di reagire ad uno stimolo importante, generando la ripresa del 2015-2017. Non è una richiesta corporativa: con la crescita si crea benesere per il paese».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Chiarelli Teodoro 
Titolo: Intervista a Carlo Bonomi – Bonomi: riforme o rischiamo i licenziamenti – “Basta aiuti a pioggia Subito la riforma degli ammortizzatori”
Tema: Intervista al Presidente di Confindustria

Un confronto più disteso con il governo, certo che sì. Tanto da invocare ancora una volta un grande «patto per lItalia» che coinvolga tutti, imprese, sindacati ed esecutivo. Ma anche la conferma delle preoccupazioni sul raggiungimento degli obiettivi del Recovery Fund. A pochi giorni dall’assemblea di Roma, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, tocca tutti i grandi temi economici del Paese, dal rinnovo dei contratti al piano industria 4.0, incalzato dal direttore della Stampa, Massimo Giannini, all’evento «L’alfabeto del futuro» organizzato da Gedi ieri al Salone Nautico di Genova. All’assemblea di Confindustria si è capito che il clima da parte vostra nei confronti del governo è molto mutato, forse perché Conte è uscito rafforzato dalle elezioni. Vuol dire che lei ha capito che era meglio scendere a patti con il premier? «Questo Paese è poco abituato ad avere persone che dicono quello che pensano. Io ho il diritto-dovere di criticare quello che ritengo non vada bene. L’atteggiamento di Confindustria non era così conflittuale come veniva raccontato prima, e non è cambiato oggi. C’è stata un’apertura da parte del governo e noi cerchiamo di essere collaborativi e propositivi come sempre». I maligni dicono, però, che Confindustria avesse scommesso sulla caduta di Conte e su un governo Draghi. «Noi non facciamo scommesse sulla politica e non ci interessiamo di politica, ne stiamo fuori. Facciamo politica economica». Il frontismo confindustriale è servito a stanare il governo? «Non si tratta di stanare nessuno. Noi ragioniamo sui fatti. Il crollo dei consumi, l’abbandono del progetto 4.0, quota 100 che non ha portato nuova occupazione: non c’è stato l’uno a uno, ma semmai una sola entrata ogni due uscite. Abbiamo detto che le politiche attive del lavoro così non avrebbero funzionato e i fatti purtroppo ci stanno dando ragione».
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Testata:  Stampa
Autore:  Griseri Paolo
Titolo: Intervista a Maurizio Landini – Landini: le aziende fanno il Sussidistan con i soldi pubblici – “Il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici”
Tema: Intervista a Maurizio Landini
Landini, il presidente di Confindustria dice che l’Italia è un “Sussidistan”, un Paese che vive di sussidi. Che cosa risponde a Bonomi? «Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Si riferisce a tutto questo? «Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne». Tra i sussidi più contestati c’è il reddito di cittadinanza, utilizzato in molti casi da chi non ne aveva diritto. Un tempo i sindacati erano contrari a queste forme di assistenza. Oggi? «Dobbiamo distinguere bene. Un conto è combattere la povertà, un altro discutere come si crea lavoro. Non bisogna cancellare il reddito di cittadinanza perché è un intervento di emergenza per combattere la povertà». La cronaca ci racconta di abusi gravi. Vita di lusso e sussidio. Come si spiega? «Ci sono gravi distorsioni che vanno duramente colpite. Ma non per questo sarebbe giusto abolire uno strumento che combatte la povertà, soprattutto in questo periodo. Non è questa la battaglia che mi aspetto da Confindustria». Quali sono le sue aspettative? «Una lotta comune per combattere l’evasione fiscale». Confindustria non lo fa secondo lei? «Non l’ho sentita indicare da Bonomi tra le priorità, non lo fa con convinzione. Viviamo in un Paese in cui l’evasione fiscale sottrae alle casse pubbliche 107 miliardi, la metà di quanto ci porterà il Recovery Fund. E con lo scandalo che il 93 per cento dell’Irpef arriva dai lavoratori dipendenti e dai pensionati».
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Testata:  Gazzetta del Mezzogiorno
Autore:  De Tomaso Giuseppe
Titolo: Intervista a Giuseppe Conte – Conte: banda ultralarga e meno tasse per il Sud – Conte: faremo luce a Mezzogiorno
Tema: Oggi il Premier inaugura la Fiera del Levante
Presidente Giuseppe Conte, l’emergenza sanitaria ed economica causata dal Covid 19 ha colpito anche il Sud Italia, la cui economia è storicamente più debole. Gli aiuti del Recovery Fund potrebbero essere l’occasione per mettere il Sud in cima ai programmi di intervento? R. “Le consistenti risorse che siamo riusciti ad ottenere dall’Europa ci consentiranno di rafforzare la strategia che abbiamo già avviato con il Piano Sud 2030. Il Recovery plan, sul quale il governo con tutti i ministri è concentrato in queste settimane, sarà un’occasione irripetibile per poter finalmente incidere sul divario storico che separa il nord e il sud del Paese”. Il governo ha introdotto la fiscalità di vantaggio a beneficio del Mezzogiorno. Questa misura è piuttosto contestata al Nord. Ma la fiscalità di vantaggio non costituisce un atto di riparazione, di risarcimento per il deficit infrastrutturale del Meridione? R. “Non possiamo ignorare che fmo ad oggi fare impresa al Sud è stato più difficile e costoso, per colpa di storiche carenze infrastrutturali e di un radicato deficit di produttività. Tagliare il costo lavoro senza toccare le retribuzioni dei lavoratori servirà a sostenere le imprese che operano al Sud. Se il Mezzogiorno avrà un’economia più solida e sarà più attrattivo per gli investitori anche il resto del Paese ne trarrà vantaggio”. Secondo alcuni economisti la fiscalità di vantaggio non aiuterebbe l’ammodernamento tecnologico delle imprese perché le spingerebbe a investire solo sulla forza lavoro. Lei cosa risponde? R. “Si tratta di un’obiezione infondata, anche perché questa agevolazione si aggiunge agli incentivi per l’innovazione delle imprese previsti dal programma ‘Transizione 4.0’ e ai crediti d’imposta già esistenti che rende strutturali”.
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Serafini Laura
Titolo: Rete unica, valutazione ancora al palo Starace torna a consulto da Gualtieri
Tema: Tlc, tra politica e finanza
Ieri l’ad di Enel, Francesco Starace, è tornato a consulto dal ministro per l’Economia, Roberto Gualtieri, per discutere dell’opportunità di fare una mappatura dei piani cablaggio di Open Fiber e di FiberCop. Ma non è da escludere che si sia parlato anche del processo divalutazione delle due società. E questo perchè il memorandum of understanding firmato tra Tim e Cdp sulla rete unica si sta rivelando un po’ un’opera incompiuta, perché esso dà per scontati una serie di fatti che in realtà non si sono verificati. Una circostanza che rende ora rispettare la timetable per la costituzione della rete unica un percorso a ostacoli. Sui quali però le varie parti coinvolte stanno cercando di trovare una soluzione. L’aspetto che più rileva è che l’accordo prevede, come una delle condizioni sine qua non per fare l’operazione, che Enel dia l’assenso alle cessione della quota in Open Fiber nelle modalità previste dall’intesa, modalità delle quali non si conoscevano i dettagli e che Il Sole 24 Ore è riuscito aricostruire. Il Mou stabilisce che debba essere fatta una valutazione di OF e che per questo motivo Cdp, Tim, Kkr ed Enel devono procedere alla nomina di rispettivi esperti. E ancora: è stato stabilito che la due diligence prendesse il via il 20 settembre per concludersi il 20 ottobre (salvo forti discordanze sui valori, nel quale caso si arriverebbe a fine novembre). Il processo di valutazione però non è partito: Enel infatti non ha mai voluto essere coinvolta nella redazione del Mou e non lo ha firmato, per cui non si sente impegnata in questo processo. Il gruppo elettrico, invece, sta valutando l’offertavincolante presentata dal fondo Macquarie che valorizza il 50% di Open Fiber oltre 3,5 miliardi. E non è detto che il cda del gruppo elettrico torni ad esaminare la questione il prossimo 15 ottobre.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Voltattorni Claudia
Titolo: Aspi, governo verso la revoca. Atlantia scrive alla Consob
Tema: Governo-Autostrade
La battaglia tra governo e Autostrade si fa più dura. Da una parte, l’esecutivo, che ancora una volta fa capire di voler confermare la revoca della concessione se «Atlantia non rispetterà gli impegni», come dice lo stesso ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli: «Non è solo possibile, ma se Atlantia non si rende conto di quello che sta succedendo, la revoca sarà anche l’esito più probabile». E come ribadisce la ministra dei Trasporti Paola De Micheli rispondendo ai giornalisti durante l’inaugurazione del Salone Nautico a Genova: «Revoca più probabile? Credo di si». Frasi che non sono piaciute ad Atlantia, che in una nota arriva a definirle «minacce», e che risponde con un nuovo esposto inviato alla Consob (dopo quello del 14 luglio scorso) per turbativa sul titolo. Esposto inviato anche alla Commissione europea. Secondo la società, le dichiarazioni «inaccettabili» dei due ministri «rilasciate a mercati aperti», hanno «determinato la sospensione delle negoziazioni per eccesso di ribasso». Nel pomeriggio di ieri infatti a Piazza Affari il titolo Atlantia ha subito un crollo di oltre il 6%, tanto da venire sospeso. Poco prima il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva parlato di «stallo» riferendosi al dossier Autostrade, annunciandone il ritorno in Consiglio dei ministri «per le valutazioni conseguenti». Il titolo Atlantia, riammesso poi alla contrattazione, a fine giornata ha chiuso a 13,14 euro ( 2,16%). Il 2 settembre scorso un’azione valeva 15,6 euro. Spiega Atlantia che «le continue minacce di revoca da parte del governo sono suscettibili di per sé di alterare il valore di Aspi nel momento in cui è stata posta sul mercato».
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Davi Luca
Titolo: Pressing per sbloccare i dividendi – Banche europee in pressing per lo sblocco dei dividendi
Tema: Bce
Il pressing delle banche, va detto, è forte. Ma in Bce, d’altra parte, non c’è alcuna intenzione di mollare gli ormeggi anzitempo: tutto insomma verrà valutato a dicembre, quando scadrà il veto. Di certo c’è che, passando dalla Francia alla Germania, fino alla Spagna, in Europa monta la protesta contro lo stop all’erogazione di dividendi bancari. Tanto che nella stessa Germania, ora, qualche istituto ha deciso a sorpresa di fare di testa propria, remunerando i propri soci a prescindere dalla moral suasion dei regolatori. La vicenda riguarda al momento tre delle principali banche cooperative tedesche, che seppure in modi diversi hanno deciso di muoversi in autonomia. E di staccare il dividendo perchè ritengono di aver la solidità sufficiente per farlo. Sono le inattese fughe in avanti di un settore che sembra muoversi a macchia di leopardo. E che, così facendo, rischia di generare un’asimmetria significativa tra idiversi mercati nazionali, con tutte le conseguenze del caso. All’origine c’è un problema di disallineamento tra le autorità regolamentari. Le banche cooperative tedesche rientrano in qualità di less significant sotto la Vigilanza della Bafin, che sul tema del veto alla distribuzione dei dividendi ha adottato un approccio pragmatico e piuttosto elastico. Diversa l’impostazione di Bankitalia, invece, che da subito si è allineata rigorosamente agli input della Bce, frenando all’origine qualsiasi spinta autonomista. Francoforte – al pari della Fed, che ha appena prorogato il divieto fino afine anno – è stata del resto chiara sin dall’annuncio datato marzo scorso: i dividendi non vanno distribuiti perché servono apreservare il capitale e a garantire il flusso dei crediti nel contesto pandemico.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Panetta Fabio
Titolo: L’intervento – Ecco come la Bce si prepara a emettere un euro digitale – «Sistemi di pagamento più hi tech La Bce pronta all’euro digitale»
Tema: Bce
La digitalizzazione influenza i principali aspetti della nostra vita, in risposta a una crescente esigenza di immediatezza nel modo in cui effettuiamo i nostri acquisti, svolgiamo il nostro lavoro, interagiamo con gli altri. Sta modificando la nostra cultura, i rapporti sociali, la stessa struttura della nostra economia. Le modalità con cui effettuiamo i pagamenti sono parte di questa rivoluzione. I sistemi di pagamento stanno cambiando, talora con grande rapidità. Solo pochi anni fa il contante era l’unico modo per concludere immediatamente una transazione. E’ tuttora il mezzo più usato nei pagamenti di importo contenuto, ma si stanno affermando strumenti alternativi e pagamenti contactless: oggi molti di noi utilizzano sofisticate carte di pagamento o applicazioni su uno smartphone o su uno smartwatch. In quanto emittenti della moneta, le maggiori banche centrali stanno considerando l’opportunità di emettere una moneta digitale, ossia una moneta sotto forma elettronica avente corso legale e in grado di ispirare lo stesso grado di fiducia delle forme tradizionali di moneta, offrendone gli stessi benefici. Anche la Banca centrale europea (BCE) sta valutando se affiancare una moneta digitale alle tradizionali forme cartacee di contante in euro. Oggi disponiamo di mezzi di pagamento digitali, quali i bonifici online, nonché della moneta sotto forma di banconote, ma non abbiamo una moneta digitale emessa dalla banca centrale e utilizzabile per i nostri pagamenti quotidiani. In altre parole, non disponiamo di banconote sotto forma digitale.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Vecchi Gian_Guido 
Titolo: Il Vaticano tira dritto sulla Cina «Con gli Usa cordiali ma distanti»
Tema: Cina

«In fin dei conti, cerchiamo tutti la stessa cosa, la libertà religiosa e una vita normale per la gente. Però noi ci differenziamo sul metodo». Il segretario di Stato del Papa, Pietro Parolin, sorride appena. La nota ufficiale della Santa Sede parla di 45 minuti di colloquio in «un clima di rispetto, disteso e cordiale», le immagini di ieri mattina mostrano volti più distesi della vigilia tra il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e il suo omologo vaticano, anche se il linguaggio diplomatico non finge di ignorare le «rispettive posizioni» riguardo «i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese». Qualche ora più tardi, tuttavia, il cardinale Parolin spiega che almeno c’è stata «comprensione», oltre gli scontri verbali a distanza degli ultimi tempi: «Direi che è andata bene, abbiamo avuto un colloquio davvero cordiale, nel quale il segretario di Stato Usa ha espresso le ragioni per cui ha fatto certi interventi. Noi abbiamo spiegato le ragioni per le quali intendiamo andare avanti per la strada che abbiamo intrapreso». Gli Usa contestano, in nome della «libertà religiosa», l’«accordo provvisorio» sulla nomina dei vescovi sottoscritto da Santa Sede e Cina nel 2018 e prossimo ad essere rinnovato; Parolin ha detto più volte che «non c’ entra niente con la politica, è una questione intraecclesiale». Le posizioni restano distanti, «sì, ma forse non era neppure questo lo scopo dell’incontro, di riavvicinarle», spiega ora il segretario di Stato vaticano: «Anche da parte loro c’è stato un ragionamento articolato e il segretario di Stato degli Usa ha espresso comprensione, soprattutto per il metodo con il quale la Santa Sede approccia questi problemi. Come dicevo, cerchiamo tutti la stessa cosa».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Molinari Maurizio 
Titolo: Intervista a Mike Pompeo – Pompeo: Italia con gli Usa per fermare la Cina – Mike Pompeo “Italia insieme agli Usa contro gli atti predatori del regime cinese”
Tema: Cina

Il Segretario di Stato Mike Pompeo è appena uscito dall’incontro in Vaticano con il cardinale Parolin e sceglie di consegnare in esclusiva a “Repubblica” le valutazioni maturate durante la sua missione romana. Pompeo, 56 anni, è il più stretto consigliere del presidente Trump sui temi della sicurezza e si comporta come tale: non abbassa mai lo guardo dall’interlocutore, ogni parola è misurata, conosce a menadito la mappa delle crisi ed ha bene in mente come tutelare l’interesse dell’America d’intesa con gli alleati. I messaggi che ci consegna sono cristallini: in cima all’agenda globale c’è la sfida cinese e su questo l’intesa con il governo Conte è salda; con il Vaticano nonostante I disaccordi ed il mancato incontro con il Papa «c’è una differenza solo di approccio e non di obiettivo con Pechino»; gli Accordi di Abramo in Medio Oriente «devono essere sostenuti dall’Europa» ed «aspettano i palestinesi»; in Libia «Russia e Turchia devono fare un passo indietro». E le basi italiane accoglieranno presto almeno parte delle truppe Usa in uscita dalla Germania «perché la Nato è diventata più forte». Siamo a poco più di un mese dall’Election Day e da ciò che afferma traspare anche un bilancio della politica di sicurezza della presidenza Trump. Segretario, lei ha detto di essere pronto ad «unire le forze con l’Unione Europea» contro la Cina: perché la considerate una minaccia e che cosa si può faro per frenarla? «Conosciamo il pericolo portato dal regimi autoritari, l’Europa sa quali minacce posso venire dalle iniziative dei comunisti ed ora stiamoosservando con attenzione le loro azioni quando si manifestano. Siamo concentrati su Huawei ma, più in generale, f loro investimenti non sono privati perché vengono sovvenzionati dallo Stato».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: La Turchia mette alla prova l’unità dell’Europa
Tema: Consiglio Ue

È un Consiglio europeo principalmente dedicato alla politica estera quello iniziato ieri e che terminerà oggi. Le crisi nel grande vicinato europeo si sono moltiplicate in questi ultimi mesi: dalle tensioni con la Turchia e la Russia alla guerra civile in Libia fino alle proteste popolari in Bielorussia. I Ventisette hanno difficoltà a trovare una propria posizione, anche se l’incertezza internazionale sta inducendo a maggiore unità, in particolare nei confronti della Cina. Il piatto forte ieri sera durante la cena tra i capi di Stato e di governo rimaneva la situazione nel Mediterraneo Orientale dove la Turchia sta rimettendo in discussione i confini marittimi con la Grecia e Cipro. Quest’ultimo paese vuole ottenere sanzioni contro Ankara o comunque prese di posizioni chiare contro Ankara. Nel frattempo, sta bloccando sanzioni contro il regime bielorusso di Aleksandr Lukashenko, accusato di essere una dittatura. Secondo le informazioni raccolte ieri sera a Bruxelles, la discussione tra i Ventisette era animata. Paesi quali la Germania e l’Italia tentano da giorni di trovare un equilibrio tra la condanna di Ankara, per rassicurare Cipro, e il desiderio di rilanciare il rapporto con la Turchia, pur di frenare la deriva nazionalista del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ankara stessa vuole modernizzare l’accordo di unione doganale che la lega all’Unione europea. Alla questione turca si è aggiunto lo scontro nel Nagorno Karabakh. La regione caucasica è contesa tra armeni e azeri. Il presidente francese Emmanuel Macron ha condannato l’intervento della Turchia che avrebbe mandato combattenti siriani a fianco dell’alleato azero. Ieri sera la Francia insisteva a fianco di Cipro per un linguaggio più duro nei confronti di Ankara, anche per via di questa vicenda.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  … 
Titolo: Panorama – La sfida di Erdogan a Macron, Putin e Trump
Tema: Erdogan

Al quinto giorno di scontri, la possibilità di portare armeni e azeri a un tavolo negoziale per concordare un cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh sembra ancora remota. Da Ankara, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – alleato di Baku – ha definito «inaccettabile» il coinvolgimento di Stati Uniti, Francia e Russia: i cui presidenti hanno chiesto ieri una tregua immediata. «Usa, Francia e Russia hanno ignorato il problema per quasi 30 anni, non è accettabile che siano coinvolti nella ricerca di un cessate il fuoco», ha detto Erdogan davanti al Parlamento turco. In realtà i tre Paesi sono co-presidenti del cosiddetto Gruppo di Minsk nell’ambito dell’Osce, l’Organizzazione perla sicurezza e la cooperazione in Europa: gruppo creato nel 1992 per mediare in questo conflitto antico, riesploso nel 1988 e alimentato poi dallo scioglimento dell’Unione Sovietica che lasciò il Nagorno-Karabakh – regione abitata da una maggioranza di armeni – nel territorio di un Paese indipendente, l’Azerbaijan, diviso ora dall’Armenia da un confine internazionale. Gli accordi del1994 riconobbero l’appartenenza dell’enclave alla repubblica azera, lasciandola però in mano a un governo di armeni del Karabakh. La cui autoproclamata indipendenza non è mai stata riconosciuta da alcun Paese. «Chiediamo la cessazione immediata delle ostilità», è scritto nella dichiarazione concordata ieri tra Emmanuel Macron, Vladimir Putin e Donald Trump.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: L’attacco di Macron a Erdogan “Jihadisti in Caucaso dalla Turchia”
Tema: Consiglio Ue

Agitare il bastone e offrire qualche carota. La strategia dell’Unione europea nei confronti della Turchia è un difficile esercizio di equilibrismo e ieri i Ventisette leader sono rimasti per tutta la giornata nella sala dell’Europa Building alla ricerca dei giusti aggettivi per schierarsi al fianco di Grecia e Cipro, senza però troppo disturbare Recep Tayyip Erdogan. Con Angela Merkel impegnata a frenare le fughe in avanti di chi, come Macron, vuole mantenere un atteggiamento più severo. Charles Michel ha messo sul tavolo un testo di compromesso in cui si dice che l’Europa è pronta a «usare tutti gli strumenti a disposizione» nei confronti di Ankara, senza citare esplicitamente l’ipotesi di sanzioni. Tra le carote, la promessa di concessioni sul fronte commerciale e doganale, ma anche di «continuare la cooperazione sui migranti». Il che potrebbe dire nuovi fondi. Le trattative sul testo sono proseguite fino a sera per vincere le resistenze di Atene e Nicosia, che chiedevano termini più duri. Il dibattito sulla situazione nel Mediterraneo centrale era inizialmente previsto per cena, ma Charles Michel ha deciso di anticiparlo come primo punto del vertice. Il confronto sull’atteggiamento da tenere con Ankara si è infatti portato dietro anche altri due temi: la situazione in Libia (con le relative responsabilità di Erdogan) e le sanzioni alla Bielorussia, fin qui bloccate da Cipro. Il Consiglio insiste per punire il regime di Lukashenko con misure restrittive, ma a quasi due mesi dalle contestate elezioni l’Ue non è stata ancora in grado di attivarle. Nicosia ha infatti chiesto lo stesso trattamento per le trivellazioni illegali turche al largo delle sue coste.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  … 
Titolo: Con quasi 60 jet, Aviano diverrà in pochi anni la più importante base Us Air Force in Europa
Tema: Aviano Us Air Force

Nel giro di pochi anni Aviano è destinata a diventare la base più importante dell’Us Air Force in Europa. La decisione di trasferire dalla Germania un altro squadrone di caccia F-16 la renderà la punta avanzata delle operazioni nel Mediterraneo e nei Balcani, con un occhio di riguardo al Mar Nero. In tutto ci saranno quasi sessanta jet: intercettori, bombardieri, velivoli specializzati nel distruggere la contraerea avversaria. Verranno uniti nel 31mo stormo, chiamato “Wyvern” come un leggendario drago dalla coda velenosa. Tra le loro missioni anche gli attacchi con bombe atomiche, custodite in un bunker sotterraneo nel perimetro dell’aeroporto. II potenziamento di Aviano si aggiunge a quello di Vicenza, che ospitai parà dell’Us Army, e di Sigonella, dove operano gli stormi della Navy, trasformando la Penisola un avamposto delle forze Usa.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lombardi Anna 
Titolo: Ohio, la pancia dell’America Testa a testa Trump-Biden ma a decidere saranno le donne
Tema: Trump-Biden

“Unborn Black Lives Matter”, la vita dei bambini neri non nati conta. C’è scritto proprio cosl sull’enorme striscione con la foto gigante di un feto, trainato dall’aero che sorvola Euclid Avenue. Il vialone che taglia per intero la città dove nacque Superman (o per lo meno i suoi creatori, Jerry Siegel e Joe Shuster) e il termine “Rock and Roll”. Sorvola la Western Reserve University dove mar tedi si sono sfidati Donald Trump e Joe Biden durante il primo dibattito presidenziale. E arriva fino alla R&R Hall of Fame affacciata sul Lago Erie realizzata da I.M. Pei, l’architetto cinese che ha eretto una piramide pure al Louvre. «Non hanno ritegno», dice alzando gli occhi al cielo Mallory McMaster, 34 anni, capo della locale sezione dei democratici di Cleveland. La mascherina con scritto “Vote” a coprirle il volto, la maglia con elencati i temi cruciali della campagna (“eguaglianza razziale, sanità, lavoro, clima, scuola, aborto = Corte Suprema”) presidia il celebre museo della musica invitando I passanti a votare per Biden. «L’aereo è finanziato degli antiabortisti di Ohio Right to Life. La nomina all’Alta Corte della giudice Amy Coney Barrett li ha galvanizzati. Dell’Ohio si dice che sono gli operai scontenti a determinare il voto. Ma quest’anno saranno le donne. Il tema dell’aborto è molto sentito. È una delle questioni che divide di più». Sì, perché qui, un anno fa, sono state approvate le leggi più restrittive d’America riguardo l’interruzione di gravidanza: l’Heartbeat Bill che vieta di abortire da quando si rileva le pulsazioni del feto (anche se il cuore non è ancora formato).
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: Brexit: procedura Ue contro legge britannica – Brexit, la Ue denuncia Londra sulla revisione del trattato
Tema: Brexit

Londra rifiuta di fare marcia indietro e Bruxelles passa alle vie legali. L’Unione Europea ha annunciato ieri di avere avviato una procedura formale di messa in mora contro il Governo britannico per la sua decisione di riscrivere parti del trattato di recesso e violare la legge internazionale. La Ue aveva dato tempo fino alla fine di settembre a Londra per eliminare le clausole del disegno di legge sul mercato interno britannico che violano l’intesa concordata e firmata da entrambe le parti solo pochi mesi fa. La legge darebbe ai ministri britannici il potere di riscrivere alcune parti cruciali del protocollo sull’Irlanda del Nord che punta a evitare il ritorno di un confine interno sull’isola. Il mese di tempo è scaduto ieri e il Governo britannico non ha modificato il testo del disegno di legge, che è stato approvato a larga maggioranza dalla Camera dei Comuni questa settimana e che passa ora allo scrutinio meno benevolo della Camera dei Lord. «Questo disegno di legge per sua stessa natura è una violazione dell’obbligo di agire in buona fede stabilito dall’accordo di recesso e se diventasse legge sarebbe in piena contraddizione con il protocollo sull’Irlanda del Nord -, ha detto ieri Ursula von der Leyen, presidente della Commissione -. Le clausole problematiche non sono state rimosse, quindi la Commissione ha deciso di inviare una lettera di avviso formale al Governo britannico, che è il primo passo di una procedura di infrazione».
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Testata:  Italia Oggi
Autore:  Scarane Simonetta 

Titolo: Notre Dame de Paris, inchiesta sull’uso degli 825 mln dei privati
Tema: Notre Dame de Paris

Le donazioni dei privati per il restauro della cattedrale di Notre Dame di Parigi (825 milioni di euro) e l’istituzione pubblica EP, creata per gestirli, e che con essi si mantiene, (5 mln), sono finite sotto la lente dei giudici della Corte dei conti francese presieduta da Piene Moscovici. Sotto osservazione anche il cantiere per il ripristino e il restauro della cattedrale più famosa del mondo devastata dall’incendio del 15 aprile 2019, e i costi lievitati dei lavori. I giudici contabili hanno presentato un rapporto sul cantiere di Notre Dame perché, è la tesi di Moscovici, c’è bisogno di un chiarimento senza dover attendere la riapertura della cattedrale nel 2024. I giudici francesi hanno rilevato la mancanza di trasparenza riguardo l’utilizzo delle donazioni di denaro. Una parte, infatti, serve all’istituzione pubblica preposta alla sua conservazione. Inoltre, hanno puntato il dito sull’assenza di una indagine amministrativa da parte del ministero della cultura subito dopo l’incendio. Il ministero, da parte sua, ha ricordato ai giudici di essersi costituito parte civile nell’inchiesta giudiziaria in corso (l’ha fatto 14 mesi dopo l’incendio) e di ritenere un doppione una nuova inchiesta del ministero. In dettaglio, l’indagine della Corte dei conti francese avrebbe dovuto sciogliere le responsabilità dello Stato e del clero e permettere allo Stato di trarne una lezione dal momento che possiede altre 86 cattedrali.
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